10 FILM DA TORINO 2000: Forever Mine, di Paul Schrader

In qualità di studioso di storia del cinema, Paul Schrader è sempre stato attratto dal genere Noir. Percependone il carattere tragico, dunque congeniale alla sua visione simbolica del racconto, ha creato con la sceneggiatura di “Yakuza” (1975, regia di Sydney Pollack) e soprattutto con “Lo spacciatore” (1991), dei “polar” emblematici. Mai, però, si era spinto ai limiti del genere come con “Forever Mine”. Schrader contamina il Noir con la sua deriva più passionale, quella Mélo, e riesce a raggiungere quel perfetto crossover narrativo e visivo che in anni recenti era riuscito solo a Brian De Palma e al suo capolavoro “Carlito’s Way” Testo come al solito coltissimo, “Forever Mine” ribadisce alcuni temi cari a Schrader, (colpa-espiazione-morte), ma ribalta il punto di vista classico dell’hard-boiled, quello del narratore esplicito. In questo caso Joseph Fiennes, amante respinto prima, torturato e semiucciso poi e infine “risorto” come angelo vendicatore. In realtà il suo “fantasma dell’opera”, crudele e struggente, funziona come deus ex machina per focalizzare l’attenzione sulla figura femminile, Gretchen Moll, e sul suo “peccato originario”, il patto di fedeltà verso un criminale e il tradimento implicito nei confronti dell’amante. “Forever Mine” è una scossa tellurica che al contrario di ”Carlito’s Way”, con cui ha qualche punto in comune, prima di investire gli occhi colpisce al cuore.

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