12 Asterisci, di Telemach Wiesinger

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Corso estivo di MONTAGGIO, dal 22 luglio

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Un viaggio immobile, contemplativo, un falso movimento tra coordinate geografiche e interiori, sinfonica messa in scena tra affinità e somiglianze tra posti di frontiera. In Concorso a Pesaro 61

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LA SCUOLA DI DOCUMENTARIO di SENTIERI SELVAGGI

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Telemach Wiesinger con il suo film-poema come i titoli di testa suggeriscono, in Concorso al Festival di Pesaro, ci propone, in realtà, un viaggio che appare immobile, un falso movimento che intende disegnare coordinate geografiche e interiori nelle quali riconoscersi. Segnare con la macchina da presa i bordi, i limiti, i confini di un’Europa, che geograficamente si allarga anche al di fuori di ogni accadimento politico, diventa il tragitto quasi subliminale del film. Pur pensato come un road movie che si muova in quello spazio spesso anonimo che definisce i confini dei Paesi, in realtà appare come una sinfonica messa in scena di un immobile tour alla ricerca di affinità e somiglianze tra i posti (in)ospitali delle frontiere. In questa continuità visibile si percepisce la ricerca laboriosa di quell’anima comune che unisce i Paesi, che si trasforma nel film in stato d’animo contemplativo.
Girato in un formato quadrato dai bordi arrotondati, di un cinema che trova la sua derivazione nei film degli anni ’50 del secolo scorso, 12 asterisci, cristallizza ogni sentimento poetico – sul quale si dovrà tornare – in un bianco e nero freddo e in una scelta di suoni a volte in crescendo ossessivo, che sembra risuonino cupi proprio lungo quei confini. Non quindi un film propriamente accogliente, quanto piuttosto una ricerca di luoghi estremi dove sembra che si possa meglio dare forma e rispecchiamento ad una specie di evidente spaesamento – il film stesso suggerisce questa sensazione di ininterrotto spazio indefinito – che riflette la sottile angoscia del confine, del passaggio di testimone tra un Paese e l’altro pur in una realtà geografica che sembra proseguire a dispetto di ogni limite. Weisinger ha dichiarato di avere composto il film prendendo a prestito la struttura poetica degli haiku giapponesi. Dunque si spiega il carattere rivelatorio delle sue immagini, il senso del poetico che domina il rapporto con le immagini, il riflesso che, istintivamente, si percepisce in quella macchina da presa che da ferma guarda il fascino discreto di questi confini geografici e che dunque si relaziona con un sentimento intimo e costante di inquietudine che non sa definirsi e non trova soluzione se non nel silenzio che domina il film rotto da rumori che sembrano arrivare e d’improvviso dalla stessa terra. Tra ponti e pontili, divieti e segni di una guerra che ancora domina i ricordi e sul filo di una memoria che parte dalla divisione delle due Germanie per proseguire in quella auspicata Unione Europea.
Ma pur in questo tour che a tratti appare più mentale che reale, più immaginato che accaduto, in una continua domanda di pacificazione che sembra essere rivolta ai paesaggi, 12 asterisci, nonostante prenda prestito un’immagine legata alla formazione politica dell’Europa – le 12 stelle che compongono la sua bandiera – nulla ha a che vedere con i sentimenti della pratica di governo o di altri riferimenti più prettamente politici che caratterizzano l’Europa come entità sovranazionale.
Wesinger in questo film, che sicuramente trova sede in quella forma di sguardo romantico sulla progressione del tempo e dello spazio che si manifesta con l’attraversamento di confini in un continuo adattarsi del pensiero – ricordando in questo l’incipit di Lisbon story del suo illustre connazionale – dà sfogo ad una sua poetica interiore solitaria ed essenziale, ai limiti del disadorno. Una visione non ottimistica e ripiegata su una idea di solitudine che diventa inconciliabile con ogni altro rapporto che non sia quello con i luoghi nei quali potersi riconoscere, potere riflettere un pessimismo che, per avere un riferimento letterario, ha molte somiglianze con quello quasi nichilista di Thomas Bernhard.


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