13° SCHERMI D'AMORE – Incontro con Isabel Coixet

isabel coixet

La regista spagnola, protagonista della retrospettiva che le ha dedicato il festival, alla FNAC di Verona ha parlato della sua idea di cinema, di lei, delle sue passioni cinematografiche, soffermandosi su Lezioni d’amore (in uscita in Italia) e accennando alla sua partecipazione in concorso al prossimo Festival di Cannes

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Isabel Coixet e Tim RobbinsNelle prossime settimane si sentirà parlare spesso di Isabel Coixet. Giovedì 30 aprile è in uscita Lezioni d’amore – in originale Elegy – che la cineasta di Barcellona ha presentato in concorso a Berlino nel 2008. Subito dopo, sarà per la prima volta in concorso a Cannes con Map of the Sound of Tokyo.
Stamattina, ospite della retrospettiva che le ha dedicato il festival, è stata presente alla FNAC di Verona in cui ha parlato di lei, della sua idea di cinema e delle sue passioni cinematografiche. E ha subito iniziato prendendo le distanze dal primo film che ha realizzato come regista, Desmasiado viejo para morir joven, del quale ha detto che non esiste.
 
Come mai l’ambientazione dei suoi film è spesso lontana dalla sua città, Barcellona, e dalla Spagna?
I miei film non li giro a Barcellona ma a 10.000 km di distanza. Ma non lo faccio per motivi commerciali. Mi interessa piuttosto il fatto che i sentimenti di solitudine, malinconia, amore e dolore possano accomunare il pubblico di tutto il mondo
 
Ci sono dei film che hanno influenzato la sua carriera?
Non mi sono formata in una scuola di cinema, anzi mi sono laureata in storia. Sono quindi dell’idea che un regista si può formare non solo attraverso il cinema ma anche con l’arte, la pittura. Tra i miei cineasti preferiti che hanno contribuito ad alimentare la mia passione ci sono Truffaut, Bergman, Scorsese e Rossellini. Di quelli attuali mi piace molto Wong Kar-wai. Degli italiani, ho una predilezione particolare per Bertolucci. La commare secca, Prima della rivoluzione, Strategia del ragno e Il conformista sono dei grandi film.
 
Ha mai visto i suoi film doppiati?
Preferisco non vederli. Capisco poi che per lo spettatore può essere più faticoso, ma i film in versione originale sono più fedeli. Per esempio Sarah Polley in La vita segreta delle parole parla un inglese che si avvicina al bosniaco e questa caratteristica nella versione doppiata si perde.
 
Come si sente a gareggiare in concorso a Cannes con Almodóvar, presente con Los abrazos rotos?
Anche se El Deseo ha prodotto due miei film (La mia vita senza me, La vita segreta delle parole), non penso di paragonarmi a Pedro anche se siamo in competizione a Cannes. Lui è una leggenda. Io sono non solo una regista ma anche una madre che va a fare la spesa al supermercato e non faccio una vita da diva. I nostri film forse sono accomunati dal fatto che parlano di sentimenti. Però lo fanno in maniera diversa.
 
Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare registi?
Ai giovani registi che incontro alla scuola di cinema dico sempre di non prestare attenzione solo al lato tecnico e gli consiglio sempre di leggere un libro, Lettere al giovane poeta di Rilke dove possono trovare tutte le informazioni necessarie. I giovani registi devono pensare prima a raccontare una storia e poi a esserci. Molti invece vogliono essere narcisisticamente sopra a tutti, magari guardando al modello di Spielberg. Infatti io rinnego il mio primo film perché lì pensavo prima a comparire e poi a raccontare una storia.
 
Quali sono gli attori italiani con cui le piacerebbe collaborare?
Ho già lavorato con Sergio Castellitto in Paris je t’aime e devo dire che lo trovo molto bravo. Più come attore però che come regista. Mi piace anche Mastandrea. Tra i registi invece apprezzo molto Sorrentino e Moretti che è il mio preferito.Il suo ultimo film come attore, Caos calmo, l’ho trovata però un’occasione persa rispetto al romanzo da cui è tratto, che ho trovato interessante.
Mi piacerebbe anche girare in Italia. Ma prima devo imparare l’italiano. Ci sono molte città che potrebbero essere il set di un mio ipotetico film in Italia. Solo a Venezia non ci girerei; è troppo difficile da filmare.
 
Ha lavorato anche con Monica Bellucci in A los que aman?
Si, ma allora non era così popolare come oggi
 
Che ruolo ha la musica nel suo cinema?
La musica (o anche la sua assenza) è una parte importante dei miei film. Quando scrivo una sceneggiatura, già penso alla colonna sonora e immagino già i miei personaggi che ascoltano quel determinato brano. Spero che non mi accada mai che a un mio film venga tolta una canzone che ho pensato di inserire.
In Lezioni d’amore la produzione aveva pensato di assumere un compositore che aveva vinto l’Oscar per scrivere le musiche. Io però mi sono opposta perché volevo un tipo di musica più vicina al personaggio.
 
A proposito del rapporto con la produzione, riesce a controllare tutte le fasi di lavorazione di un film?
A me piace avere in mano tutto il controllo, dall’inizio fino al montaggio finale. E al momento posso dire che fino ad ora sono riuscita a seguire e a controllare tutti i passaggi. Per esempio nel romanzo di Philip Roth da cui è tratto Lezioni d’amore c‘era un finale, nel film ne ho pensato un altro e poi nel corso della lavorazione me ne è venuto in mente un altro ancora che la produzione mi ha lasciato.
 
Cosa ci può dire, a proposito di Lezioni d’amore, della scelta di Penelope Cruz e del titolo Elegy?
La scelta di Penelope era già nel progetto. E’ stata lei a chiamarmi e a chiedermi di essere regista del film e allora ho accettato volentieri. Per quanto riguarda il titolo, personalmente preferivo quello del romanzo di Philip Roth, Dying Animal ma la produzione ha preferito cambiarlo in Elegy.
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