14.mo FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO – 14 anni di cinema nero

Dopo 13 anni di lente trasformazioni la manifestazione cambia pelle in quel percorso di mutazione che, pur nella inalterata struttura essenziale, consente di confermare le proprie caratteristiche di manifestazione fuori dal coro. Lo sguardo del festival si allarga ad oriente e ad occidente con un programma arricchito dal cinema asiatico e latino-america

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Si apre oggi con Baadasssss di Mario Van Peebles il 14° Festival del Cinema Africano di Milano. Dopo 13 anni di lente trasformazioni la manifestazione cambia pelle in quel percorso di mutazione che, pur nella inalterata struttura essenziale, consente di confermare le proprie caratteristiche di manifestazione fuori dal coro. Lo sguardo del festival si allarga ad oriente e ad occidente con un programma arricchito dal cinema asiatico e latino-americano. È il sintomo più evidente di quel desiderio sempre vivo di mettere insieme valori culturali diversi.

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Fondato nel 1991 da don Francesco Pedretti, sacerdote illuminato e già direttore del Centro Missionario, l'iniziativa ha trovato il consenso istituzionale e del pubblico e ha continuato sulle proprie gambe anche dopo la scomparsa del suo fondatore. Nella presentazione del catalogo della prima edizione don Pedretti si chiedeva se ci fosse bisogno di un altro festival e la risposta era già contenuta nella domanda e sin dalle primissime edizioni portava dentro di se i germi di quelle novità, connaturate alla propria stessa esistenza, che rendevano indispensabile la sua presenza nel panorama culturale cinematografico nazionale. La selezione dei primi programmi, pur appoggiandosi ai più importanti festival internazionali, ha vissuto di un pedinamento sempre attento del cinema africano, con un criterio che faceva trasparire la voglia e il desiderio di avvicinare il pubblico del cinema alle culture africane e alla loro espressioni più vivaci e interessanti nel cinema.


Era un gesto concreto del suo fondatore verso quella società che, da cattolico, definiva "di comunione", nella consapevolezza che il valore dell'arte potesse avere un impatto positivo sulla coscienza di ciascuno. Passava anche attraverso questo cinema, nei primi anni '90, la forza di quei valori interculturali e multiculturali che, ancora, nonostante gli sforzi di più soggetti, faticano a trovare un proprio percorso di integrazione pur tra gli esperimenti e le incertezze, i dubbi e le stimolanti novità di questi anni.


Il questo clima di grande entusiasmo è nato e cresciuto il festival che ha ospitato sin dagli esordi i nomi che avrebbero offerto un'ipotesi di visione del cinema africano in occidente. Attraverso le presenze di Mambety, Sembene, Ouedraogo, Sissoko, Traore, Cissè e molti altri meno conosciuti Milano si candidava a diventare il più importante punto di riferimento per il cinema d'oltre mediterraneo.


Quest'anno 14a edizione, con la volontà di arricchire il proprio programma con le proiezioni asiatiche e latino-americane, per un festival ancora più lungimirante che vive proprio di quella materia sottratta al grande pubblico e che proprio per queste ragioni costituisce una vetrina necessaria e indispensabile che contrappone ad un panorama di (spesso) ingrigiti occidentali le novità africane, ma anche asiatiche, ma anche latino-americane.


In realtà è ormai da qualche anno che il festival milanese offre al proprio pubblico un cinema che non è più solo africano e quindi la logica conseguenza era quella di aprire le "Finestre sul mondo" (titolo quanto mai appropriato per la rassegna del concorso) anche alle altre cinematografie che fino ad oggi avevano trovato altra collocazione all'interno del programma. L'aspetto però più interessante di questa parziale mutazione sta tutta nel ruolo giocato dagli stessi autori africani presenti in questi anni al festival. Proprio da loro è nata l'esigenza di aprire un confronto con gli altri protagonisti così lontani per cultura e tradizioni. Gli organizzatori hanno raccolto con favore queste sollecitazioni con il conseguente allargamento del concorso.


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Tra le attese di quest'anno molte prime visioni assolute per l'Italia: Uniform (Zhifu) rivelazione al festival di Rotterdam di Diao Yinan giovane regista underground cinese, il kazako Malin'kie lijdi (Piccola gente) di Nariman Turebayev che si preannuncia opera dal sottile humor, il cingalese Bora diya pokuna (Il profumo dello stagno del loto) di Satyajit Maitipe che indaga sui drammi desiderio e della gelosia; Mille mois dell'esordiente marocchino Faouzi Bensaidi, film sull'universo intimo del piccolo Mehdi che vive in uno sperduto villaggio sui monti dell'Altlante.


Prosegue, dopo l'esordio dello scorso anno, la retrospettiva del cinema sudafricano con l'omaggio alle opere nate durante i tristi anni dell'apartheid, rassegna realizzata in collaborazione il Consolato del Sudafrica a Milano nel 10° anniversario della nascita della democrazia nel Paese che aboliva il regime razzista.


Ricorderanno il genocidio ruandese consumatosi 10 anni fa gli otto brevi film, raccolti l'evento speciale Memorie dal Ruanda che ha lo scopo, tra l'altro, di mantenere viva la memoria di quegli avvenimenti che videro la morte di un milione di persone.

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