14.mo FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO – "Le jardin de papa" di Zeka Laplaine – Concorso lungometraggi

Metafora quanto mai esplicita della distanza culturale che separa l'occidente, una ben precisa tipologia di occidente, dall'Africa e soprattutto della distanza che esiste tra l'immaginario occidentale dalla realtà del continente nero.

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In Le jardin de papa del congolese Zeka Laplaine accade tutto in una notte, due sposini francesi viaggio di nozze arrivano per il  in Senegal, agitato dalle imminenti elezioni, lui, Jean è nato in Africa. Noleggiano un taxi che durante il tragitto investe un bambino. Si apre la caccia al tassista da parte dei locali che inseguono anche i due sposi che si rifugiano in casa di una donna che prenderanno in ostaggio. Tutto finirà in ospedale con il tassista nero in coma, i due sposi salvi, ma il loro matrimonio già in crisi.

Costruito come un thriller, Le jardin de papa è un film quanto mai anomalo e dissonante rispetto alla cinematografia africana che passa solitamente sugli schermi di questo festival. Tanto irriverente, quanto destabilizzante rispetto agli equilibri soliti ai quali, tutto sommato, siamo abituati. Porta in sè una carica di violenza, una sottile e strisciante rabbia nei confronti del popolo bianco figlio dei colonizzatori non comune.

La metafora, quanto mai esplicita, dell'occidente presuntuoso è affidata a Jean. Insolente e arrogante nei confronti dei locali, che crede di conoscere, pensa, in ogni momento, di potere accomodare tutto con i soldi, ma tanto incapace di capire che la sua arroganza è puntualmente punita dalle circostanze che lo porteranno sempre ad una umiliante capitolazione (rifiuta un taxi per 20 euro, sarà costretto a noleggiarne uno per 50, tenta di corrompere il doganiere che lo farà attendere alcune ore prima di farlo passare). Jean è retorico e melenso quando, invece, con i soliti luoghi comuni dell'occidentale in gita ai villaggi vacanze, ricorda alla compagna i profumi della propria infanzia che crede di ritrovare trasmettendo un quanto mai trito e improbabile mal d'Africa.

Laplaine lavora abilmente su questi temi con una tendenza all'intrigo forte dai toni accesi. Ci dice molto sulle trasformazioni della società africana attraverso i comportamenti del gruppo di agitatori politici che diventano inseguitori dei malcapitati protagonisti. Al margine del racconto c'è poi il tassista nero e silenzioso, che subisce la vicenda e commisera Jean che non comprende fino in fondo il guaio che gli è capitato.

L'avventura servirà a Marie, la giovane sposa, a comprendere due cose: Jean che si rivela quello che in fondo è sempre stato e l'Africa che comunque l'affascina e che giura, segretamente, a vicenda conclusa, di volere rivedere.

L'incubo che i tre protagonisti vivono durante questa notte sintetizza, attraverso la costruzione tesa alla suspance, i sentimenti di rivalsa che comunque, almeno nell'animo di Laplaine, non paiono sopiti nei confronti della civiltà bianca colpevole di avere incancrenito le ferite dell'Africa e che pretende di volerle guarire alimentando quella mentalità che vuole quel continente sempre rispettoso del proprio ospite. Le cose pare siano mutate e con i tempi che cambiano, cambia anche la prospettiva con cui guardare gli africani e Laplaine pare metterci in guardia.

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