14.mo FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO – "Uniform", di Diao Yinan – Concorso lungometraggi

Il film vive di lunghe pause, di lunghi silenzi, in cui pare accentuarsi quella caratteristica di cristallina trasparenza che appare come la nota dominante dell'intera opera. Yinan affoga il film in un colore livido, elimina qualsiasi riferimento di natura politica concentrando la propria attenzione sulla storia e sui suoi protagonisti.

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Atteso come una rivelazione del nuovo cinema cinese Diao Yinan, dopo avere seguito la solita gavetta, approda ora al suo primo lungometraggio. con un certo coraggio espressivo sceglie il supporto digitale, che offre notevoli margini di risparmio, presenta qui a Milano, nella sezione del concorso, il suo Uniform che ha già ricevuto lusinghieri giudizi in Francia.

In Uniform due giovani si adattano sbarcando il lunario, lui e' un sarto con il padre ammalato di scabbia e lei commessa in un negozio di cd. Entrambi hanno un segreto, lui, venuto in possesso di una camicia da poliziotto la utilizza per arrotandore i guadagni con piccole azioni da poliziotto corrotto. Lei, invece, è in forze ad un'agenzia che procura appuntamenti con uomini.

Il film vive di lunghe pause, di lunghi silenzi, in cui pare accentuarsi quella caratteristica di cristallina trasparenza che appare come la nota dominante dell'intera opera. Yinan sembra avere fatto propria la lezione di Tsai Ming – Liang che pare aleggiare sulla complessiva messa in scena del film.

Nella Cina di oggi non si puo' scommettere su nessuna certezza e la doppia vita dei personaggi costitusce, in qualche modo, la misura della trasformazione che ha investito quel Paese. Yinan, in verita', affogando il film in un colore livido elimina qualsiasi riferimento di natura politica, anche se la finta corruzione del finto poliziotto la dice lunga su molte cose, concentrando la propria attenzione sulla storia e sui suoi protagonisti. Forse per queste ragioni qualsiasi interpretazione potrebbe apparire fuorviante. Ma, ci pare di cogliere, nella complessiva architettura del film, un sentimento di presa di distanze nei confronti della struttura della società cinese accompagnata da una sorta di commiserazione per le povere vite dei personaggi costretti, dalle mutazioni sociali ad un ruolo di finzione continua che genera paura e un sentimento di forte instabilità senza soluzioni.

Visto così il film recupera il disagio di una visione costretta nei margini imposti dal regista che dilata fino all'eccesso, talvolta, gli stili propri della cinematografia dell'Asia estrema. La storia, il contenuto, anche quello probabile che abbiamo azzardato, avrebbe forse ottenuto un successo migliore e una più profonfa incisività se affidata af una durata più contenuta che non avrebbe significato rinunciare alla forma espressiva prescelta, ma avrebbe potuto consegnarci un film più essenziale e forse più duraturo nel tempo.

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