15° Ca’ Foscari Short Film Festival: intervista ad Aureliana Bontempo e Claudio Agostini

Abbiamo incontrato due dei registi in concorso al primo festival europeo dedicato al cortometraggio interamente organizzato da studenti universitari. Ecco cosa ci hanno raccontato

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I temi della 15° edizione del Ca’ Foscari Short Film Festival, conclusasi lo scorso 22 marzo, hanno spaziato dall’ambientalismo alla violenza di genere, con numerosi cortometraggi – di finzione, animazione e in alcuni casi ibridi – dedicati ai rapporti familiari. Abbiamo incontrato due dei registi in concorso, Aureliana Bontempo e Claudio Agostini. Dai loro cortometraggi e dalle loro parole sono emersi temi comuni: la famiglia, non sempre vissuta come un luogo di accoglienza; la solitudine; il successo a tutti i costi; il crescere e il conoscersi, anche se questo può comportare dolore e auto consapevolezza.

Aureliana Bontempo ha presentato L’attaque, una storia che, come racconta lei stessa, “è un ibrido tra il genere drammatico e il fantasy. Volevamo mettere in scena una sorta di realismo magico”. Il cortometraggio ruota attorno al rapporto tra due sorelle molto diverse, Aurora ed Emma, e affronta il tema dell’abuso attraverso la metafora di un drago, creando un’ambiguità tra i desideri della protagonista, l’infanzia e il legame con la sorella. La narrazione si apre con uno spaccato dell’infanzia di Aurora, un’introduzione che fa entrare lo spettatore in un mondo a misura di bambino, avvicinandolo al mondo interiore della protagonista. “L’idea nasce da un mio ricordo da bambina: il mio migliore amico mi raccontava di aver trovato un uovo di drago in un bosco. Io, ovviamente, non gli credevo, ma una parte di me voleva farlo, anche perché lui era bravissimo a raccontare la storia. Ho lavorato con le sceneggiatrici su questo ricordo, interrogandoci sul concetto del credere, è un atto di fede, anche credere a una molestia. È una sfera molto personale, in cui spesso ci si chiede se la percezione di chi la vive sia distorta o se il fatto sia realmente avvenuto. L’inizio del film è una parte importante: a un certo punto la produzione aveva pensato di tagliarlo, ma io mi sono imposta”.

Il film affronta la tematica dell’abuso, che viene raccontato in età adolescenziale, ma ci sono continui richiami all’infanzia, come il gioco delle ombre cinesi. “Abbiamo lavorato immedesimandoci in Aurora, chiedendoci come avremmo fatto, alla sua età, a rivelare una cosa del genere a nostra sorella. È stato un lavoro di ricerca sulle parole giuste. Inizialmente il cortometraggio si chiamava Ombre, perché il drago doveva manifestarsi attraverso un’ombra, poi gli abbiamo dato tridimensionalità, ma il concetto di ombra è rimasto: il gioco delle ombre cinesi, il vedere e non vedere. Una regista che amo molto è Alice Rohrwacher e solo dopo aver girato il cortometraggio ho scoperto che il suo primo film, Corpo celeste, racconta la storia di una bambina e del suo rapporto con la religiosità. Ho trovato questa coincidenza molto bella”.

In questa edizione del festival molte opere parlano di famiglie disfunzionali, con conflitti e difficoltà. L’attaque si concentra sul legame tra due sorelle, e anche se la madre viene citata, sembra quasi che le due ragazze vivano da sole. “Cerco di scindere l’aspetto artistico dalla mia vita privata, infatti sono figlia unica. Ho preso l’idea delle sorelle da persone a me molto vicine e le sceneggiatrici mi hanno aiutato molto a costruire questo rapporto. Quello che mi interessava era rappresentare la solitudine dei giovani oggi, in balìa di loro stessi. Le figure adulte non sempre offrono un indirizzo o un sostegno quando dovrebbero, ed Emma, la sorella maggiore, diventa una sorta di sorella-madre. Anche se è vicina ad Aurora a livello generazionale ed è l’unica che potrebbe davvero capirla, in realtà non lo fa. Isolarsi e stare da soli è qualcosa che appartiene molto alle nuove generazioni: ci sono cose che uno si porta dentro e non racconta. La sfera familiare è fondamentale, perché qualsiasi storia, in un modo o nell’altro, ritorna sempre lì. Il vero trauma nasce da lì”.

Il cortometraggio di Claudio Agostini, Nero, è una sorta di thriller con un incidente al centro della storia. L’incontro con un altro uomo porta il protagonista, Francesco, a scoprire aspetti di sé che voleva nascondere o sopire. È un film breve che riflette sul senso di responsabilità verso il mondo, sulla conoscenza di noi stessi e sui rapporti familiari che ci formano come persone. “Ero indeciso se mostrare o meno il cane nell’incidente, ma poi ho pensato che non serviva. Il cane non è necessariamente un cane: la storia di quel personaggio non si riduce solo all’incidente. Il suo crollo emotivo non è dovuto a quello, ma a un confronto con il proprio mondo interiore, che aveva represso per molto tempo. L’incidente lo fa emergere, ma è sempre stato dentro di lui. È una presa di coscienza improvvisa e inaspettata, frutto di una tensione interiore: infatti, nella prima scena, il protagonista ha uno sfogo rabbioso nei confronti di una persona che non c’entra nulla. L’assunzione di responsabilità era un concetto che volevo trasmettere. Io sento di avere una responsabilità nei confronti del pianeta, delle persone, anche di quelle che non conosco, ed è importante averne consapevolezza”.

Un altro elemento chiave del film è il rapporto tra due uomini: uno cieco e uno vedente. Alla fine, però, è il cieco a dimostrare di “vedere” più dell’altro. “Lavoro per una cooperativa sociale che inserisce persone con disabilità. Ho iniziato facendo laboratori di filmmaking e fotografia per persone con disabilità cognitive, poi mi è stato proposto di realizzare un documentario sul linguaggio braille. Durante questa esperienza ho conosciuto il mondo della disabilità visiva, e da lì sono nate tante riflessioni, tra cui quella che poi emerge nel cortometraggio: la differenza esistenziale tra vedenti e non vedenti, e cosa questi ultimi possano insegnare agli altri con il loro modo di vivere la realtà. La mia preoccupazione principale era non trattare la disabilità in modo vittimistico o compassionevole, ma darle il giusto valore, perché può insegnarci molto. I limiti esperienziali spingono queste persone a esplorare altre parti di sé e ad adattarsi in modo diverso. I vedenti, invece, dovrebbero imparare a riconoscere i propri limiti e guardarsi più dentro, soprattutto oggi, in un’epoca in cui siamo molto concentrati su ciò che sta fuori di noi”.

Anche Nero affronta il tema della famiglia, che sembra essere uno dei fili conduttori di questa edizione del festival. “Uno dei temi del cortometraggio è il rapporto padre-figlio e padre-figlia. Volenti o nolenti, i nostri rapporti familiari condizionano la nostra vita. Il legame con i genitori andrebbe analizzato da adulti, perché ce lo portiamo dentro, ma dobbiamo farlo in modo positivo: comprenderlo, senza farci condizionare troppo”.


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