1a Festa Internazionale di Roma – "Uno su due", di Eugenio Cappuccio (Première)

"Commedia umana" stonata, in cui si perde il tempo dell'attesa e dove i segni dell'alienazione causati dalla malattia sono soltanto accennati. Eppure la maschera di Fabio Volo, sospeso tra una dimensione surreale e tragica funziona; il film di Cappuccio poteva avere sulla carta ben alre potenzialità. Forse per questo è un'occasione colpevolmente persa.

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C'è qualcosa che stona in Uno su due. Qualcosa di non meglio definito, non facile da mettere a fuoco. Dopo Volevo solo dormirle addosso (2004), primo lungometraggio che Eugenio Cappuccio ha diretto da solo anche Uno su due può definirsi come una specie di "commedia umana". Nell'altro film veniva mostrato il mondo del lavoro, in questo la malattia. Al centro della vicenda ci sono sempre due personaggi nella cui vita apparentemente normale qualcosa precipita all'improvviso. In Volevo solo dormirle addosso un giovane manager si trova costretto ad operare dei tagli di personale. In Uno su due protagonista è Lorenzo (Fabio Volo), un ambizioso avvocato che gestisce lo studio con il suo amico Paolo (Giuseppe Battiston), è fidanzato con Silvia (Anita Caprioli) e ha un appartamento nel centro di Genova. Dopo aver vinto una causa, sviene per strada e viene ricoverato d'urgenza in ospedale. Al suo risveglio si ritrova in stanza con Giovanni (Ninetto Davoli), un ex-camionista. Da quel momento la sua vita non sembra essere più la stessa. 

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Uno su due può essere visto come un film su una figura che si sdoppia e sembra vivere un'esperienza parallela. Il numero 2 ritorna, per esempio, nel letto d'ospedale o nella palla da biliardo di una partita che si vede in televisione. Lorenzo così è sospeso tra il passato e il presente, tra ciò che era e ciò che è diventato. I segni della malattia agiscono più sul suo comportamento che sul suo corpo. Eppure i segni di questa alienazione del protagonista sono soltanto accennati, attraverso una la sceneggiatura – scritta dallo stesso regista e da Fabio Volo assieme a Massimo Gaudioso, Michele Pellegrini e Francesco Cenni – che tende spesso a definire, a catalogare, anche stati d'animo provvisori. Eppure la maschera di Fabio Volo, la cui dimensione surreale è spostata verso una dimensione più tragica, funziona. Però i suoi dialoghi, per esempio, con la sorella o quella distanza che cresce con la fidanzata Silvia, appaiono come troppo carichi, come se si avvertisse sempre la presenza di una scrittura che deve sempre pilotare le azioni.


Uno su due filma lo spazio di Genova spesso orizzontalmente – le immagini del porto, la città attraversata in automobile – o dall'alto (l'aereo dell'inizio del film). Uno su due cresce provvisoriamente proprio nei momenti di istantaneo abbandono, come quello della passeggiata di Lorenzo per le strade interne oppure nella scena dove ha il coraggio di lanciarsi in aria assieme a un istruttore di volo. Ma questi sono solo istanti periferici di un film che poteva avere sulla carta altre potenzialità che non sono state valorizzate come, per esempio, la parte in cui Lorenzo va alla ricerca della figlia di Giovanni per portarla dal padre malato. Si perde spesso in Uno su due il tempo dell'attesa, tempo che talvolta viene consumato con soluzioni stilistiche anche discutibili (la soggettiva del protagonista a cena con gli altri avvocati) e che alla fine viene annullato nell'imbarazzante finale in cui il volto del medico si alterna alla voce fuori-campo di Lorenzo. Ed è forse questa la stonatura più evidente di un'occasione colpevolmente persa.







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