3/4/2006 – Fiction o film? Sceneggiatori e produttori a confronto

Serialità, autorialità…

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"Oggi il cinema italiano non esiste. Ci sono piccoli miracoli ma non c'è un panorama compatto e continuo che crei l'affezione del pubblico. Capita sempre più spesso di vedere prodotti migliori in tv che al cinema". Così dichiara al Giornale dello Spettacolo, Maria Venturi, autrice di fiction televisive di successo, come Incantesimo e Orgoglio. "Forse – continua la sceneggiatrice – importiamo troppe pellicole, ma su dieci film americani, almeno sei sono gradevoli. I nostri film, invece, non danno alcuna garanzia e il pubblico spesso non si fida". Determinante è il problema economico. "Non ci sono soldi, per la distribuzione come per la produzione – prosegue Venturi – ma non ci sono nemmeno più uomini come Ponti, De Laurentiis o Lombardo che, accanto ai film commerciali di sicuro incasso, realizzavano anche pellicole di alto livello. Lo Stato deve intervenire – conclude la sceneggiatrice – perché un buon film porta alta la bandiera italiana nel mondo, esattamente come la Ferrari, l'opera lirica o il Colosseo".

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Più ottimista sul cinema italiano è il giovane sceneggiatore Tommaso Capolicchio che, dopo aver lavorato a Un medico in famiglia, ha vinto il Globo d'oro 2005 con il cortometraggio Fare bene Mikles. "Ci lamentiamo dal 1975 – dice Capolicchio – Un giorno il cinema italiano è morto, il giorno dopo è risorto. Secondo me non può che andare meglio. Muccino, Sorrentino, il successo di Romanzo Criminale: stiamo costruendo uno star system e tornando ai generi che hanno fatto la fortuna del nostro cinema". Per Capolicchio uno dei mali è legato agli autori: "da Moretti in poi si è confusa l'autorialità con il saper far tutto. Ma di geni come Pasolini o Orson Welles ne nascono uno ogni 50 anni. Se fossimo un po' più umili, concentrati ognuno sul proprio ruolo, lavoreremmo tutti di più e meglio".


Anche Pietro Valsecchi produttore sia di fiction (RIS, Distretto di polizia, Paolo Borsellino) sia di film (Un eroe borghese), punta sugli autori definiti come "il bene e il male del nostro cinema". "In Italia – afferma – tutti vogliono raccontare i loro sogni, la loro vita, ma quando un film è troppo personale non arriva alla gente. Smettiamola di lamentarci: se un film non esce è perché non piace a nessuno". Valsecchi però non nega responsabilità alla propria categoria: "oggi manca un progetto, una grande linea editoriale. Il produttore dovrebbe credere in una sua idea, non in quella del regista. Perché il film deve essere del produttore. È lui che lo paga, lui che ne risponde e lui che deve avere l'ultima parola". E ancora: "i registi dovrebbero capire che un film non può costare più di tanto. Bisogna iniziare a pensare a prodotti che escano contemporaneamente in Italia e in Europa. Il produttore deve riprendere con forza le redini della situazione e non restare in balia dell'autore o dello Stato. Ci vuole ricerca, perché il cinema è comunicazione e oggi il linguaggio evolve in continuazione. E soprattutto ci vuole passione".

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