4 3 2 1, quante possibilità ha l’America del nuovo romanzo di Paul Auster?

Esce in America il prossimo 31 Gennaio il nuovo romanzo di uno degli autori cult d’oltreoceano, un grande tour de force nell’indagine dell’identità all’indomani di un momento cruciale per gli USA

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C’è chi si chiede come sarà l’America del nuovo anno e c’è chi si chiede come la interpreterà Paul Auster nel nuovo attesissimo romanzo 4 3 2 1 in uscita negli USA il 31 Gennaio 2017. L’autore festeggerà i suoi 70 anni con quello che viene definito dalla casa editrice come il più grande, soddisfacente e straziante romanzo di Paul Auster, una storia travolgente e sorprendente sul diritto di nascita, sulla possibilità di amare e della vita stessa: un capolavoro. 880 pagine per raccontare la storia di Ferguson, la cui vita è segnata da quattro esistenze differenti grazie alla clonazione del suo DNA: se le abilità sportive e le esperienze scolastiche sono diverse, i quattro ragazzi si troveranno però parallelamente a fronteggiare l’amore per la stessa ragazza, Amy Schneiderman, ognuno a modo proprio.

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Si ritorna dunque a parlare, almeno sulla carta, di identità, il tema caro a Auster e tutta quella generazione che partendo da Thomas Pynchon e Don DeLillo ha dato vita alla corrente definita sommariamente come postmodernismo. Come questa però verrà rinnovata nel secondo decennio del nuovo millennio è ancora tutto da capire, come si intuisce anche nell’ultima pubblicazione dell’autore: Notizie dall’Interno (2013), un’autobiografia in cui lo scrittore ha messo sotto la lente di ingrandimento se stesso e tutte le sue esperienze in un Paese che con le sue contraddizioni lo ha fortemente deluso. Da liberale ha visto un presidente democratico favorire la guerra in Siria ed osteggiare la pace, mentre la situazione interna americana sembra aver perso il treno per la modernità con le infrastrutture che crollano e la sanità che è rimasta ferma da decenni. Ma, come ha amato ripetere in diverse occasioni, la politica di Obama non aveva possibilità di scelta. Ecco perché l’uscita di questo romanzo con il prossimo cambio di leadership sembra programmatica per ridefinire il concetto di quella identità che per gli autori degli anni ’80 è sempre stata un’entità in continua mutazione.

Nella Trilogia di New York, manifesto letterario di Auster, i protagonisti cambiano spesso nome (in Città di Vetro Daniel Quinn diventa William Wilson, in Fantasmi Gray si fa chiamare Green) fino ad arrivare all’ultimo capitolo La Stanza Chiusa (1987) in cui il protagonista arriva ad accettare la propria vita, a capire che non importa quanto stregato e ossessionato lui sia; deve accettare la realtà così com’è, tollerare la presenza di ambiguità dentro di sé, come spiegò l’autore in una dichiarazione di intenti diventata celebre nella critica di quegli anni e ripresa in varie forme e misure da altri colleghi. 

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Sarà anche interessante scoprire se questo ritorno sulla scena culturale combacerà con quello dietro la macchina da presa da dove manca dal 2007 quando girò La vita interiore di Martin Frost. Per Auster quest’ultimo film ha segnato il primo adattamento cinematografico da un proprio romanzo (Il libro delle illusioni) mentre per gli esordi alla regia aveva scelto di scrivere sceneggiature propriamente pensate per il grande schermo o scritte ripensando a vecchi racconti, come accaduto per le le collaborazioni con Wayne Wang (Smoke e Blue in the Face) fino al suo debutto in solitaria Lulu on the Bridge. Anche in queste esperienze cinematografiche è stato rivelato il gusto per l’ambiguità, per il metacinema, per i confini non delineati. Gli stessi che saranno sfruttati in questo avvio di 2017, un anno che per l’America segnerà l’apertura di una nuova strada, o solo di una nuova (forse) grande opera letteraria.

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