5° Festival del Cinema Tedesco – Luigi Nono: intervista a Thomas von Steinaecker
In occasione della presentazione del suo documentario al festival romano, il regista ha approfondito il rapporto tra il compositore veneziano, il mondo dell’arte del ‘900 e la militanza politica

C’è stata un’epoca in cui il rapporto tra l’arte e la politica era strettissimo, segnato da una reciproca influenza da cui non si poteva prescindere. Gli artisti comunicavano con la propria produzione una visione del mondo spesso impregnata delle ideologie in cui credevano. Dall’altro lato però la politica, intesa anche come istituzioni, era estremamente ricettiva: si serviva degli artisti e li rispettava, ritagliando per loro uno spazio protetto nella società; o piuttosto ne aveva paura e li metteva al bando, consapevole dell’enorme potere di un libro, un film o una composizione musicale. Racconta questo Luigi Nono – Il suono dell’utopia di Thomas von Steinaecker, che sarà presentato sabato 22 marzo al 5° Festival del Cinema Tedesco di Roma. Si esplora la carriera del noto compositore veneziano, dagli inizi nel secondo dopoguerra, fino alla sua morte avvenuta nel 1990. In mezzo anni di intensa produzione artistica all’insegna della sperimentazione e della militanza (seppur mai diretta) nei ranghi del Partito Comunista. Von Steinaecker compie un viaggio nel capoluogo veneto per incontrare i testimoni della vita di Luigi Nono, ricostruendone l’attività di compositore grazie alle voci di chi gli è stato vicino, alternate ad alcune delle sue opere più note e significative. Ecco la nostra intervista al regista:
Sei mai stato a Roma prima di quest’esperienza con il Festival del Cinema Tedesco?
Sì, cinque anni fa sono venuto con una borsa di studio a Villa Massimo e ho trascorso quasi un anno a Roma. Per quanto riguarda il festival, è la prima volta che vi partecipo.
La tua filmografia è ricca di ritratti di artisti del ‘900, in particolare compositori. Perché questa volta hai scelto di raccontare la storia di Luigi Nono?
Da sempre sono particolarmente interessato ai compositori della seconda metà del XX secolo, come John Cage, Pierre Boulez o Leonard Bernstein, quindi ho sempre avuto interesse anche per la musica di Luigi Nono. Collaborando con la televisione tedesca si ha sempre l’opportunità di realizzare un documentario o un film, e in questo caso ho scelto proprio lui, nel centenario peraltro della sua nascita.
Nella scena iniziale del film si dice che Luigi Nono fosse contrario a qualsiasi tipo di compromesso nella creazione. Pensi che sia un elemento comune a tutti gli artisti che hai raccontato con i tuoi lavori?
Sì, credo che questi artisti, che hanno esordito tutti dopo la seconda guerra mondiale, abbiano questo in comune, soprattutto nella musica: erano davvero intransigenti. Penso che abbia a che fare proprio con il periodo della guerra. Si voleva ripartire da zero e quindi si doveva essere inflessibili. E così è stato anche Nono.
Nonostante la sua vicinanza ad esponenti del PCI, ha sempre rifiutato il diktat di produrre solo arte realistica, considerandola una limitazione. E come lui anche altri artisti, su tutti Emilio Vedova. Perché pensi che oggi gli artisti abbiano così tanta difficoltà a sfuggire al realismo quando si confrontano con il mondo contemporaneo?
Sinceramente non so se questo valga per tutte le arti, ma è vero che dopo la seconda guerra mondiale l’arte, come la musica e soprattutto la pittura, si è indirizzata verso l’astrattismo. Penso che ciò abbia a che fare con il fascismo, perché il realismo era lo stile dominante allora in Germania e in Italia e dopo la seconda guerra mondiale si è cercato di discostarsi da tutto ciò. Ma credo che abbia a che fare anche con il mondo digitale in cui viviamo oggi. Penso che stia diventando sempre più complicato e difficile definire cosa è realtà e cosa non lo è.
Una peculiarità di Luigi Nono è stata la grande corrispondenza tra la sua produzione artistica e la città da cui proveniva, Venezia.
Sì, è davvero sorprendente. Conoscevo la sua musica e sapevo che aveva un rapporto speciale con lo spazio, ovviamente. Ma non sapevo che tutto questo avesse a che fare con Venezia. E una volta che l’ho scoperto mi è sembrato tutto così ovvio e sensato. Questo legame con la sua città era per me qualcosa di veramente nuovo e sorprendente. Se lo sai, inizi davvero ad ascoltare la musica di Venezia. Quando sei lì, scopri che il suono proviene da ogni parte: dall’acqua, dalle persone, dalle navi.
Nonostante fosse italiano, Luigi Nono ha avuto una popolarità maggiore in altri paesi d’Europa.S ei riuscito a scoprire il motivo durante le tue ricerche?
Era molto popolare in Germania, mentre ovviamente non lo era affatto in America perché era comunista. Nella seconda metà del ‘900 la Germania Ovest divenne il centro della musica moderna, perché fu sostenuta dagli Stati Uniti che volevano aiutare i tedeschi a creare una nuova cultura antifascista. E la gente pensava che questo genere di musica, proibita durante il Terzo Reich, fosse il modo giusto per dare inizio a una nuova cultura. C’erano molte stazioni radio o orchestre che sostenevano musica di questo tipo, così Nono, come altri compositori moderni, divenne popolare e ricevette sostegno finanziario anche nella Germania occidentale. Ma l’ironia è che lui, in quanto comunista, non amava la Germania Ovest, ma preferiva la Germania Est, a cui però non piaceva il suo stile musicale, perché come detto prima lì si preferivano la musica tonale e il realismo, mentre lui scriveva musica totalmente astratta. Quindi è davvero un paradosso. In Italia, credo, non c’era un sistema in grado di sostenere i giovani compositori tanto quanto nella Germania Occidentale.
Oggi è impossibile immaginare che un partito possa considerare l’arte come qualcosa di così importante, utilizzarla come strumento o al contrario temerla. Perché pensi che questi due mondi, entrambi influenti nella vita di ogni persona, siano così separati?
A mio avviso, oggi molti artisti cercano di essere attivisti, quindi sono molto politicizzati. Forse non si tratta di un dialogo effettivo, ma vogliono partecipare al processo politico, almeno questo è ciò che ho sperimentato io. Diventa quindi sempre più importante avere un’opinione e dichiararla pubblicamente, quindi non sono sicuro che oggi non ci sia dialogo tra politica e arte. Penso che oggi l’arte sia politica, più politica che mai, ad essere onesti.
Ma pensi che le istituzioni politiche ascoltino davvero ciò che proviene dalle arti oggi?
Assolutamente no, perché l’arte non ha più l’importanza che aveva nel XX secolo. Se si guarda alla letteratura o alla musica, sembra evidente come non siano più importanti come un tempo. La politica è sempre una questione di potere e l’arte non ne ha più. Penso che ci sia un interesse mosso da motivi rappresentativi, nient’altro. Ed è un peccato, perché l’arte potrebbe davvero ispirare la politica con nuove visioni o idee. Ma non credo che oggi sia più così.