54.ma BERLINALE – Angelopoulos e Rohmer: la storia nel segno del 3…

In Concorso il regista greco con la prima parte della sua "Trilogia" sul XX Secolo – una Trilogia che ambisce al grande affresco per raccontare gli eventi del XX Secolo – e il maestro francese, con "Triple Agent", che incornicia la confusione dell'Europa tra le due guerre nel racconto da camera di un giallo spionistico morale in cerca di verità.

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BERLINO – La Storia, a Berlino, nel segno del tre… Due autori, Angelopoulos e Rohmer, alle prese col passato: il primo imbalsamato nelle sue composizioni grafiche che stanno bene nella stanza della sua mente; il secondo  più limpido che mai, alle prese con il fuoriquadro della verità… Il greco imposta una Trilogia che ambisce al grande affresco per raccontare gli eventi del XX Secolo, il francese incornicia la confusione dell'Europa tra le due guerre nel racconto da camera di un giallo spionistico morale, entrambi hanno come punto di fuga una coppia nei cui corpi s'incarna il senso degli eventi…

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Poco da dire su Angelopoulos, che a Berlino ha l'aria di esserci venuto con l'intenzione di portare a casa un Orso d'Oro (non sia mai…): il primo capitolo della sua Trilogia stratifica l'illusione di un'arte cinematografica racchiusa in poche coordinate estetiche sulla storia di una coppia di giovani innamorati, Eleni e Alexis, profughi da Odessa nel 1919, dopo l'entrata dell'Armata Russa.  Il loro amore li spingerà anni dopo a fuggire insieme, dopo il matrimonio che ha portato la  ragazza sull'altare accanto al vecchio padre di Alexis, in un'epopea attraverso la quale Angelopoulos elabora un dramma storico che si spinge attraverso il XX Secolo, giungendo negli Stati Uniti, a New York, dove Alexis emigrerà, mentre Eleni, rimasta in Grecia, finirà in carcere come sostenitrice degli oppositori del regime… Poco da dire, perché Angelopoulos staziona ormai nella sua idea di cinema fatta di pura composizione scenica, disegnata nei pianisequenza che annichiliscono qualsiasi vibrazione di vita in una coreografia statica e tutta mentale, illusivamente poetica, antirealistica e sostanzialmente intransitiva.


Basta fare il confronto con il Rohmer di Triple Agent per rendersi conto di come il cinema possa essere ancora in grado di elaborare il proprio statuto più classico secondo poetiche vive e vegete: lo spunto viene al maestro francese da un fatto di cronaca accaduto nel 1936, nel periodo della guerra civile spagnola, mentre l'Europa si dimenava nelle ombre e nei misteri che avrebbero portato a una nuova guerra.  Siamo a Parigi e i protagonisti sono Fiodor, un ex ufficiale dell'Armata russa rifugiatosi in Francia, e sua moglie, la greca Arsinoé. Lui è un agente segreto, in contatto con la Russia bianca e la Germania nazista, insospettito da tutto e da tutti, al punto da nascondere alla stessa moglie gran parte dei suoi spostamenti. Il suo destino sarà segnato dalla misteriosa sparizione di un generale russo, di cui potrebbe essere responsabile e che, in un triste epilogo, vedrà suo malgrado coinvolta la moglie. Rohmer ovviamente fa un giallo da camera, ma evidentemente la sua non è una dimensione mentale: lo spunto serve a un ennesimo racconto morale che pone a confronto i personaggi con la loro natura interiore, tra verità e menzogna, luce ed ombra, fiducia e sospetto. Ed è straordinario come, dopo La nobildonna e il duca, Rohmer continui con Triple Agent a utilizzare la storia europea come un quadro nel quale inserire le sue figure: qui l'idea geniale è quella di sospingere la realtà del mondo nella passione per la pittura della protagonista, che cerca nella naturalezza dei suoi dipinti uno statuto di verità che evidentemente non le appartiene e non conosce. Come in un film di Straub-Huillet, la vita in Triple Agent sta dentro/fuori lo schermo, immobilizzata eppure vitalizzata nella scontornatura di una cornice che ne delimita l'altrove…


 

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