7 Days in Havana, di B. Del Toro, G. Noé, J.C. Tabio, J. Medem, L. Cantet, P. Trapero, E. Suleiman

7 days in havanaSette registi di differenti nazionalità e sensibilità mettono in campo la loro visione, una scheggia più o meno definita del loro cinema, sotto l’orchestrazione di Leonardo Padura Fuentes, coordinatore della sceneggiatura. Personaggi che tornano in gioco, incroci di percorso nel calore di una settimana qualsiasi. E poi, evoluzioni confuse ed eccentriche di una montagna rossa, che per gettarsi nel gorgo delle magnifiche contraddizioni di una città unica, deve accettare la necessità di partire dalla superficie

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diary of a beginnerCannes accoglie ancora una volta la sfida di un’impresa collettiva, che possa raccontare, nella composizione dei frammenti, di un punto di vista molteplice, l’anima di una città e di un mondo. 7 Days in Havana: sette registi di differenti nazionalità e sensibilità mettono in campo la loro visione, una scheggia più o meno definita del loro cinema, sotto l’orchestrazione di Leonardo Padura Fuentes, coordinatore della sceneggiatura. Personaggi che tornano in gioco, incroci di percorso nel calore di una settimana qualsiasi. E poi, traiettorie confuse ed eccentriche di una montagna rossa, che per gettarsi nel gorgo delle magnifiche contraddizioni di una città unica, deve accettare la necessità di partire dalla superficie. Quella della pelle e dei corpi di Gaspar Noé, che mischia in un abbraccio proibito e torbido la santeria e la sensualità istintiva delle sue ragazze, la densità violenta di un ritmo tribale e la lucido. L’Avana, qui, è innanzitutto un affare di folklore. La vitalità istintiva e coinvolgente vista dagli occhi di un turista yankee, o meglio uno Yuma (Benicio Del Toro). È la musica, quella raccontata dall’argentina Pablo Trapero che s’affida all’estro barcollante di Emir Kusturica per immergersi nello scintillio malinconico di una jam session notturna, segno della possibilità di un legame profondo oltre le differenza, di un comunismo da improvvisare tra le difficoltà e le passioni di una vita.

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L’Avana è la passione, appunto, quella tensione mélò iscritta nei geni del suo popolo, in cui Julio Medem ritrova la cifra profonda de suo cinema, sempre pronto a cogliere l’estremo delle emozioni e dei desiderio. Ma nella tentazione della sua Cecilia c’è anche la scissione di un popolo stretto tra il desiderio di una contemporaneità normale e l’esigenza di tener fede a sè. Il richiamo dell’occidente, da un lato, e la casa, dall’altro, il successo e il senso di un’indipendenza autarchica. La posta in gioco è sin troppo chiara, ma non vale a scalfire l’intensità di questo la fuenteframmento di calor bianco. L’amore è politica. Ma ancor più marcatamente politico è lo sguardo di Elia Suleiman, che traccia una linea di congiunzione tra il destino ‘negato’ di Cuba e della sua Palestina, racconta l’assurdità di un vuoto di potere troppo presente e, paradossalmente, troppo assente (il discorso interminabile di Fidel, visto però nel vuoto dell’ambasciata palestinese), è testimone, come sempre muto e attonito, della trasformazione del sogno nella sintesi di un’estasi artificiale (i turisti che si fotografano davanti l’albergo, l’abbordaggio abortito nel locale). Epperò, con un magnifico, geniale spiazzamento, mostra l’altro lato, la tenerezza di un’umanità profonda. Un uomo si avvicina a un ragazza. Poi arriva un’altra donna. La famiglia si ricompone in un abbraccio. Nucleo irrinunciabile, qualunque sia la nostra terra. E per questo Juan Carlos Tabío (l’unico cubano del gruppo), nella sua commedia Dolce amaro, ne piange la paradossale frattura. Chi parte per uscire dall’isolamento, si ritrova immancabilmente solo.

 

Nostalgia un attimo prima del vortice. Perché a ricollegare tutti i fili, la devozione e l’invenzione, l’estro e il cemento, l’acqua e la terra, la santeria e la musica ci pensa la famiglia, immensa, incontenibile, fuori controllo di Laurent Cantet. La fuente (il frammento più bello, insieme a quello di Suleimam), commedia solo apparentemente fuori asse, riformula la sua idea di cinema hors les murs, spazio aperto e impresa collettiva, regno di un impossibile da costruire, improvvisazione da cogliere nell’attimo stesso del suo farsi, per riportarla all’immediatezza della sua urgenza, della sua necessità.

 

Titolo originale: 7 dias en La Habana
Regia: Benicio Del Toro, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabío, Julio Medem, Laurent Cantet, Pablo Trapero, Elia Suleiman
Interpreti: Leonardo Benítez , Josh Hutcherson, Daniel Brühl, Emir Kusturica, Melissa Rivera, Elia Suleiman, Jorge Perugorría, Vladimir Cruz, Mirta Ibarra, Luis Alberto García, Melvis Santa Estevez, Daisy Granados, Othello Rensoli
Origine: Spagna, Francia 2012
Distribuzione: BIM
Durata: 100′

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