700 milioni di euro

Il fabbisogno del settore spettacolo
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“Settecento milioni di euro. E’ quanto serve a questo sistema spettacolo. Ogni cifra inferiore è solo un palliativo che spinge un poco più in là il limite del baratro. Questa è la semplice verità ed è bene che cominciamo a dircela se vogliamo affrontare davvero l’emergenza che abbiamo davanti e che rischia di spazzarci via”. Così dichiara il presidente dell’Agis, Alberto Francesconi, in merito ai tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus). “In assenza dello stanziamento necessario – continua il presidente dell’Agis – l’unica cosa che può fare questo spettacolo è vivere un’esistenza faticosissima e del tutto insoddisfacente per chi lavora onestamente e per chi dovrebbe godere i frutti di questo lavoro, cioè il pubblico. Poiché però, sempre per essere chiari, non si vedono prospettive per ottenere nemmeno lontanamente quanto davvero serve, allora il governo, innanzitutto questo governo ma anche qualsiasi altro dovesse arrivare in futuro, deve dire a noi e agli italiani cosa vuole fare, quale sistema spettacolo immagina: quattro fondazioni liriche? Cinque o sei teatri stabili? Una decina di teatri di tradizione? Una produzione cinematografica ridotta a un pugno di film all’anno? Un esercizio limitato alle grandi catene multiplex? La fine della danza, dei circhi, degli spettacoli viaggianti? Perché queste sono le prospettive reali con i miserabili stanziamenti in essere e con la vecchissima normativa che regola tutti i settori. Si salverà chi saprà cavalcare il mercato, chi troverà sponde più o meno clientelari a livello nazionale e locale, chi truccherà i conti. Perché anche questo va detto: la politica deve finalmente aprire gli occhi sullo spettacolo italiano (non lo fa da poco dopo la metà degli anni ’80), ma lo spettacolo deve aprirli su di sé e non fare più sconti a nessuno. Nell’immediato, che come sempre travolge ogni serio discorso di prospettiva, dovremmo poter dichiarare lo stato di crisi. L’Agis già lo ha fatto, concordando con i propri dipendenti, la propria, qualificata forza lavoro, i contratti di solidarietà. E se lo stato di crisi non ci viene concesso – conclude Francesconi -perché non è previsto dalle vigenti normative, allora dobbiamo prendercelo. Semplicemente. Le nostre attività associate, quest’anno, faranno come quelle istituzioni vittime del terremoto abruzzese: presenteranno nei bilanci le cose che hanno potuto fare, con i mezzi a disposizione. Senza preoccuparsi di che cosa dicono decreti e regolamenti fatti da governi e amministrazioni che hanno perso da un pezzo il senso della realtà”.
 
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