“Monsters & Co.” di Peter Docter

“Monsters & Co” è situato in quella zona franca dell’immaginazione dov’è
possibile regredire, diventare piccolissimi, perdere il senso dell’orientamento e abbandonarsi al disorientamento
della fantasia

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L’immaginario cinematografico disneyano che tanto profondamente ha segnato la capacità di sognare e di risvegliare le forze irrazionali, vitalistiche, sanamente depurate dalle scorie del cinismo e dalla consapevolezza del mondo adulto, sembrava negli ultimi anni aver subito una battuta d’arresto, troppo perso nell’operazione cerebrale di dare sempre più raffinata forma grafica a mondi già fortemente codificati nella letteratura – “Il gobbo di Notre Dame” – o nella mitologia -“Hercules” e “Atlantis”- perdendo di vista ciò che direttamente mira a folgorare il cuore e la mente: l’emozione e il divertimento.
Qualità curiosamente recuperate dal parallelo e inaerestabile sviluppo tecnologico dell’animazione computerizzata in 3d che ha attraversato la
vecchia fabbrica dei sogni rivestendola di una nuova luminosa perfezione grafica dove al tratto dei disegnatori si sostituiscono i miracoli della Pixar.
E dopo i primi due capitoli della saga di “Toy Story” e l’odissea nel mondo degli insetti di “A bug’s life”, il geniale John Lasseter – per interposto dell’esordiente Pete Docter – intraprende un viaggio nel cuore di tutto ciò che rappresenta le paure, i desideri, i sogni infantili.
Perché “Monsters & Co”- più propriamente in inglese “Monsters, Inc” ovvero la fabbrica dei mostri- è situato in quella zona franca dell’immaginazione dov’è possibile regredire, diventare piccolissimi come la piccolissima Boo, perdere il senso dell’orientamento e abbandonarsi al disorientamento
della fantasia. La prospettiva è capovolta dall’inizio, da quando vediamo l’addestramento di un mostro spaventatore che, durante una simulazione, dovrebbe far urlare un bambino. Solo che alla fine è lo stesso mostro ad essere spaventato dal bambino meccanico. Siamo già nel cuore del film. Sappiamo che i mostri di questa fabbrica non potranno spaventarci e che il mondo parallelo che abitano è la trasfigurazione animata tridimensionalmente del mondo che abitiamo, dove tutto può essere identico e vicinissimo quanto irriconoscibile e deformato. Sentiamo che la quotidianità di Mike e Sully, scandita in gesti ed azioni compiute da un qualsiasi anonimo impiegato di una qualsiasi anonima ditta, ci appartengono, riproviamo il piacere di un processo d’identificazione e d’abbondono assoluto, totale, liberatorio perché gli occhi si liberano dalla sospensione del principio d’incredulità che ci farebbe vedere in Sully soltanto un grosso orso dai colori eccentrici e in Mike un piccolo occhio verdastro. Entrambi sono invece portatori delle emozioni primarie, opposte eppure combacenti che si accavalano sul volto di ogni bambino e di ogni adulto al di là delle sovrastrutture in cui sta soffocando: il riso sfrenato e il pianto irresistibile- e Sully scoprirà come le risate e non le urla dei piccoli potranno essere la fonte d’energia per il mondo dei mostri – l’orrore e il divertimento, il sogno e l’incubo.
Nello sguardo di Boo – portatrice a sua volta nel nome datole da Sully dello stadio primordiale dell’immaginazione, del suono, della parola – il mondo dei mostri si fa fantasiosa iperbole del racconto, della favola popolata volta a volta
da personaggi ora spaventevoli ora spassosi e il godere della meraviglia e dello
stupore contenuto nei suoi occhi così perfettamente falsi da essere più veri del vero, apre un’altra porta per il viaggio a ritroso verso la nostra necessità di lasciarsi sedurre da un’illusione.
Titolo originale: Monsters, Inc.
Regia: Peter Docter
Sceneggiatura: Robert L.Baird,Dan Gerson
Montaggio: James Austin Stewart
Musica: Randy Newman
Scenografia: Tia W. Kratter,Dominique Louis
Produzione: Darla K.Anderson,John Lasseter,Kori Rae,Andrew Stanton
Distibuzione: Buena Vista
Durata: 92’
Origine: Usa, 2001

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