A ciascuno il suo Tomas Milian

Ripercorrere le tappe della carriera di Milian significa rileggere quasi tre decadi di cinema italiano, in quel periodo storico particolarissimo dettato dall’abissale varietà stilistica dei generi

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A ciascuno il proprio Tomas Milian, e va bene così. Che sia Nico Giraldi, Er Monnezza, Cuchillo, Giulio Sacchi o Il Gobbo poco importa, perché l’impronta dell’attore cubano nell’immaginario collettivo del cinema popolare italiano è di quelle destinate a rimanere per sempre, a prescindere dalle etichette “di genere”. E va bene anche menzionare Luchino Visconti (Boccaccio ’70), Michelangelo Antonioni (Identificazione di una donna), Francesco Maselli (I delfini, Gli indifferenti), Mauro Bolognini (da La notte brava a Madamigella di Maupin), Valerio Zurlini (Le soldatesse), Carlo Lizzani (Banditi a Milano), Bernardo Bertolucci (La luna) e tutti gli altri, per non scontentare chi ancora preferisce distinguere un cinema alto da quello basso. Ma Tomas Milian probabilmente avrebbe riso in faccia a tutti, lui che del grande schermo amava qualsiasi cosa e che non smise mai di venerare la figura di James Dean, scoperto a ventun anni in un cinema di L’Avana grazie a La valle dell’Eden di Elia Kazan e che gli fece capire per la prima volta quale sarebbe stato il suo posto nel mondo.

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2Tomas Milian è morto nella sua casa di Miami il 22 marzo scorso, dopo una una vita vissuta intensamente tra soddisfazioni professionali e tragedie personali (il suicidio del padre quando l’attore aveva appena tredici anni) al punto da confessare di “aver pianto davanti alla felicità come davanti al dolore”: una filmografia eterogenea e vastissima, legata in buona parte proprio all’Italia e all’irripetibile stagione d’oro dei generi del nostro cinema di cassetta, quello fischiato (all’epoca) dalla critica ma che riempiva le sale e le bocche degli spettatori, sempre pronti a citare a memoria gli epiteti e le frasi di quei personaggi entrati di diritto nella memoria storica di tutti. Ripercorrere le tappe della carriera di Milian significa allora rileggere quasi tre decadi di cinema italiano, in quel periodo storico particolarissimo in cui i nostri registi guardavano ai modelli d’oltreoceano per mostrare al nostro pubblico l’abissale varietà stilistica dei generi; e questi generi lui li ha attraversati tutti, stringendo sodalizi artistici che sarebbero durati anni e che avrebbero portato alla realizzazione di titoli fondamentali per il nostro cinema bis. Dagli spaghetti western (Faccia a faccia, La resa dei conti e Corri uomo corri di Sergio Sollima, Se sei vivo spara di Giulio Questi, Vamos a matar compañeros di Sergio Corbucci, I quattro dell’apocalisse di Lucio Fulci, Tepepa di Giulio Petroni, con Orson Welles) al thriller (i bellissimi Non si sevizia un paperino, ancora di Fulci, e La vittima designata di Maurizio Lucidi, superbo noir intriso di malinconia e ambientato in una Venezia decadente e spettrale), fino ovviamente al poliziottesco, in cui interpretò i ruoli per i quali probabilmente sarà più celebrato (impossibile citarli tutti, ma ricordiamo almeno Roma a mano armata, Milano odia: la polizia non può sparare, Il giustiziere sfida la città e Il cinico, l’infame, il violento di Umberto Lenzi, il bel Squadra volante di Stelvio Massi, il truce Liberi, armati, pericolosi di Romolo Guerrieri). Nel mezzo, incursioni fuori scala per Dennis Hopper (il folle Fuga da Hollywood), Claude Chabrol (Pazzi borghesi), Yves Boisset (Una donna da uccidere) e persino la fantascienza nostrana (il poco considerato Luci lontane, di Aurelio Chiesa).

 

Hollywood si accorse troppo tardi del suo talento unico e non riconciliato: dopo una lunga 3serie di piccole apparizioni o di collaborazioni sfumate (Dino De Laurentiis lo presentò a Sidney Pollack per I tre giorni del condor, ma gli fu preferito il più anziano Max Von Sydow), bisognerà attendere il 1989 e l’intervento di un altro talento anarcoide come quello di Abel Ferrara per spalancargli le porte del successo a stelle e strisce (Oltre ogni rischio, da un romanzo di Elmore Leonard); da questo momento in poi, grandi registi lo chiamano a interpretare ruoli di contorno nei quali Milian infonde tutta la propria personalità poliedrica: Tony Scott (Revenge), Pollack, finalmente (Havana), Steven Spielberg (Amistad), Oliver Stone (JFK – Un caso ancora aperto), James Gray (The Yards), Steven Soderbergh (Traffic).

 

Con un pezzetto di cuore sempre in Italia, però: “Roma è la mia casa e l’ho capito quando sono tornato per girare Roma nuda di Giuseppe Ferrara [girato nel 2011 ma rimasto inedito, ndr]. La cosa che mi ha emozionato di più è stato vedere tutti questi giovani cresciuti con i film del Monnezza che venivano a salutarmi. (…) Uno di loro, indicandosi la guancia, mi disse con un’improvvisa espressione da bambino innocente: me dai un bacetto? Glielo diedi e a quel punto l’amico protestò: e che a me no?. Questi, per me, erano due ambasciatori mandati dalla mia Roma per darmi il bentornato.” (Monnezza amore mio, di Tomas Milian con Manlio Gomarasca, Rizzoli 2014)

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