A cosa serve una film commission?

Lo scandalo del giro d’affari che coinvolgerebbe sia la Lombardia Film Commission sia la Lega Nord è una buona occasione per tutti per capire meglio a cosa serva una film commission

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Da alcune settimane si parla sempre di più di uno scandalo noto in realtà già da qualche mese a chi si occupa di cinema, quello di un giro di affari che coinvolgerebbe sia la Lombardia Film Commission, sia la Lega Nord, con contorni che vanno definendosi. La trasmissione di Rai3 Presadiretta ha dedicato alla vicenda una puntata (disponibile qui) e da allora sui social LFC is the new 49 milioni. Non è compito di una redazione di cinema, né di nessun altro sostituirsi alla magistratura e nemmeno alla politica (qui le ultime dichiarazioni), ma è una buona occasione per tutti per capire meglio a cosa serva una film commission e quali competenze dovrebbe avere chi la dirige e chi ci lavora. Al di là del caso lombardo. Perché è vero che nella regione considerata la locomotiva d’Italia il fatto di aver avuto una film commission fantasma è un doppio scandalo, ma la questione riguarda tutte le regioni, riguarda il lavoro di molte persone e la qualità del nostro cinema per come viene infine proposto al pubblico italiano e internazionale. A distanza di quattro anni dall’intervista a Stefania Ippoliti, all’epoca Presidente di Italian Film Commissions e ora Direttrice di Toscana Film Commission, abbiamo chiesto al produttore Franco Bocca Gelsi e ai registi Claudia Cipriani e Andrea Grasselli cosa abbia significato per loro la notizia di cui ora parlano tutti, cosa si aspettano faccia una film commission e chi dovrebbe guidarla.

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Nonostante i servizi che avrebbe dovuto offrire fossero declamati nel sito ufficiale, ci sono stati bandi solo in due annate, e l’ultima newsletter della LFC risale al 2014. Per Cipriani «la questione della Lombardia Film Commission è stata per anni come quell’elefante gigante che si mette a sedere in prima fila al cinema e tutti fanno finta di non vederlo. È molto triste pensare a quanti documentari e film indipendenti potevano essere aiutati con gli 800 mila euro spesi per il capannone in Brianza. È da molti anni che i filmmakers e i produttori lombardi aspettano una film commission che faccia semplicemente quello che dovrebbe fare ogni istituto del genere e che fanno le film commission di altre regioni: essere un reale strumento di sostegno e promozione per la produzione cinematografica, soprattutto quella indipendente per cui un finanziamento regionale, anche piccolo, può fare davvero la differenza. Nessuno di noi ha mai pensato di poter contare sulla Film Commission lombarda, semplicemente perché era come se non esistesse. Molti, io compresa, pensavamo fosse un istituto con pochissime funzioni, limitate solo a qualche agevolazione o supporto logistico. Scoprire che invece la situazione era così paludosa e compromessa è stato ancor più triste».

Per Bocca Gelsi, è importante distinguere tra chi lavora in una film commission e chi ci la dirige: «Le persone che ci lavorano che conosco da circa quindici anni sono sempre state disponibili e gentili, ma da quando non c’è più un direttore generale le cose sono cambiate. L’ultimo è stato Alberto Contri [un manager proveniente dal settore della comunicazione e della pubblicità, e che fu allievo di Don Giussani, ndr], che poi ha lasciato. Inizialmente sono stato fortunato, sia per Fuga dal Call Center, sia per L’ultimo Pastore, quando sono riuscito ad avere a disposizione piazza Duomo a Milano per portare 800 pecore senza spendere un centesimo. Ma era il 2012». Quando si parla dell’attività della LFC, precisa il produttore, «bisogna parlare anche dei fondi regionali per l’audiovisivo, e noi non abbiano mai avuto un fondo all’altezza delle esigenze del nostro comparto. Da quando è stato mandato via Contri e Alberto Di Rubba [quest’ultimo commercialista vicino alla Lega, ora agli arresti domiciliari, ndr] è diventato Presidente c’è stato un lento deterioramento. Le lunghe mani della Lega si vedevano già prima, dal 2012: andate a vedere i nomi e fatevi due conti. il Comune  di Milano [che è socio della LFC assieme alla Regione Lombardia, ndr] era stato avvisato delle manovre dell’assessora leghista alla cultura della Regione, Cristina Cappellini & Co. Fu lei a scegliere Di Rubba».E secondo quanto riporta Repubblica, fu Cappellini a proporre di destinare un contributo di un milione di euro a Lombardia Film Commission. Bocca Gelsi denuncia inoltre «pochi fondi regionali a singhiozzo, e bandi inadeguati, sia nell’ammontare che nella strategia che nelle technicalities» .

Anche il regista Andrea Grasselli si racconta:  «Nei documentari con cui ho collaborato con LFC mi sono sempre interfacciato con una responsabile comunicazione e produzione molto dinamica e interessata ai progetti. In un caso specifico, un documentario su una comunità di minatori bergamaschi alla luce di nuovi interessamenti di una multinazionale australiana che voleva scavare in quelle zone, proposi a Regione Lombardia e alla LFC il progetto. Era il 2015, in concomitanza con l’Expo. Tale incontro purtroppo mise la parola fine sulla realizzazione del documentario. In generale, la mancanza di chiarezza dei fondi per l’audiovisivo lombardo da parte della Regione mette in serie difficoltà le case di produzione e gli autori, spesso causando il dirottamente dei progetti e delle produzioni su altre regioni».

Sia a Bocca Gelsi che a Grasselli abbiamo allora chiesto cosa si aspettino dalla futura composizione della film commission regionale, quali caratteristiche dovrebbe avere e chi dovrebbe guidarla. Il produttore dice: «Auspico un serio ragionare su cosa debba essere una film commission lombarda per essere all’altezza di un comparto in profonda trasformazione, nonché secondo comparto italiano, inferiore come volume d’affari e personale impiegato solo al Lazio, in misura oltretutto risibile. Una vera rifondazione architettata insieme al comparto e alle sue associazioni di rappresentanza, che esistono e che non sono mai state realmente ascoltate, neanche adesso. La politica ignora sistematicamente l’esistenza di un know-how specifico e di una strategia che parta dall’interno della filiera, e crede di potersi imporre, mentre noi – operatori e imprese – siamo in una condizione di vassallaggio. Per questo stiamo organizzando un convegno in Regione a novembre sul tema: ci saranno importanti novità. Ora ci serve una film commission con una visione, delle competenze specifiche sui fondi regionali ed europei, con la capacità di ordire trame intelligenti che creino leve per il comparto, anticipando i trend e sostenendo strategicamente quei settori che possono fare da volano alla filiera, in modo da incentivare un sano sviluppo competitivo con gli attori delle altre regioni. Non faccio un nome di chi potrebbe guidarla, ma posso indicare un profilo: un direttore a tempo pieno, competente, con agibilità politica e portafoglio. Una persona che conosca il comparto e le sue esigenze, che sappia cos’è un piano finanziario, come debba funzionare un fondo, quali siano i sistemi di finanziamenti delle altre regioni europee strategiche per l’audiovisivo. E che sappia mettere insieme esigenze locali, nazionali es europee. La vera sfida sta nella competizione con i linguaggi, i prodotti e le new technologies americane ed anglosassoni, e nel raggiungimento di un cinema europeo maturo, capace di competere e vincere sfide, non solo dentro i grigi salotti festivalieri e dei critici ante litteram. Un prodotto audiovisivo in relazione con il linguaggio e con il gusto delle nuove generazioni. Altrimenti perderemo il contatto e si creerà un gap sempre più profondo tra chi dobbiamo educare all’immagine e chi produce immaginario. Serve una leadership che abbia relazioni ed esperienza internazionale, che conosca tutti gli aspetti della filiera e tutti i mezzi di distribuzione del prodotto audiovisivo, quella chain of right che è in costante mutamento, dal gaming alle serie TV, e che abbia soprattutto competenze di formazione, perché è fondamentale portare competenza laddove finora si è vissuto di posizioni di rendita basate su nepotismo e ingerenze politiche».

Per il regista Andrea Grasselli il prossimo direttore generale dovrebbe essere una persona «non succube dei giochi di partito, che abbia interesse e passione per questo settore, che possa rendere le produzioni lombarde competitive a livello nazionale, e perché no anche internazionale. Primo interesse dovrebbe essere quello di sostenere e proporre nuove produzioni con fine principale il valore artistico e culturale. Si dovrebbe incaricare una persona con competenze manageriali, ma che conosca anche molto bene il mondo produttivo audiovisivo e che sia al corrente della particolare situazione audiovisiva lombarda.

In Lombardia, quasi tutte le case di produzione, a partire da Milano, sono incentrate sulle produzioni pubblicitarie. Questo non dovrebbe essere un problema di per sé, ma lo diventa nel momento in cui tende a monopolizzare le produzioni, e quindi il mercato, escludendo così quasi completamente le forme cinematografiche. Una misura che bisognerebbe adottare fin da subito è l’apertura con costanza di bandi a sostegno di tutte le opere audiovisive. E poi creare dei tavoli e momenti di discussione per implementare la rete regionale e far avvicinare più facilmente i produttori con gli autori/registi. Questi tavoli dovrebbero essere indetti direttamente dalla LFC, rendendo fruibili anche i loro spazi per uno scambio produttivo e creativo continuo».

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