A History of Violence, di David Cronenberg

A prima vista può apparire come un'opera periferica nel cinema del regista canadese, ma a livello di ritmo e tensione è un thriller che funziona alla grande. Inoltre i segni del cinema di Cronenberg (la duplicazione/unificazione del corpo, i segni della mutazione, le realtà parallele) restano solo sotterranei e sono pronti a esplodere

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Il cinema sul doppio. Con Spider, anche A History of Violence (presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes e clamorosamente ignorato dal Palmares) potrebbe apparire apparentemente come un’opera più periferica del cinema di Cronenberg, essenzialmente pensata dalla New Line Cinema e condizionata dalla scrittura dello sceneggiatore John Olson. In effetti, la vicenda, tratta dal romanzo a fumetti Una storia violenta di John Wagner con disegni di Vince Locke, potrebbe far cadere in questo equivoco. Tom Stall (Viggo Mortensen) vive un’esistenza felice assieme alla moglie Edie (Maria Bello) e i due figli nella cittadina di Millbrook, nell’Indiana. Una sera però la loro vita cambia per sempre; per evitare infatti un tentativo di furto nel suo locale, Tom uccide i suoi rapinatori. A quel punto, le televisioni e i giornali parlano di lui e il suo volto diventa noto anche al di fuori della cittadina. Qualche giorno dopo però giungono nella località tre misteriosi criminali da Philadelphia che devono regolare con lui alcuni conti del passato.

 

Forse A History of Violence sarà anche congegnato come il classico thriller statunitense, ma a livello di ritmo e di tensione funziona alla grande. L’opera di Cronenberg appare quasi una specie di Ore disperate di Wyler però dilatato verso l’esterno e attenuato dalle forti luci dei paesaggi del suo abituale direttore della fotografia Peter Suschitzky, che abbaglia, anche in maniera inconsueta, le forme oniriche proprio come nell’apertura del film, con l’incubo/presagio della figlia di Tom. Ma anche se in quest’opera non c’è chiaramente il Cronenberg più estremo – quello, per esempio, di Il pasto nudo e Crash per intendersi – sono però presenti quei residui del suo cinema che agiscono in maniera sotterranea ma sono pronti ad esplodere, dai volti dei criminali uccisi in cui c’è quella disgregazione epidermica e quella sporcizia splatter di Rabid – Sete di sangue, ai quei segni/cicatrici sul corpo sulla schiena di Eddie che sembrano poter prefigurare quelle metamorfosi di La mosca. A History of Violence però colpisce soprattutto nel modo in cui prima nega e poi lascia emergere le forme di una memoria sempre rimossa. In questo caso, la grandezza del cineasta canadese consiste innanzitutto nel modo con cui la produzione dei processi mentali del protagonista tendano sempre a precedere la loro materializzazione visiva. La soggettiva di Tom coincide sempre con la soggettiva dello spettatore prima che il protagonista stesso riveli l’altra identità nel momento in cui si rivolge al sicario ferito in un occhio (grandiosamente interpretato da Ed Harris) e gli dice che non ha sbagliato ad ucciderlo allora. Da quel momento in poi, A History of Violence diventa un film sul doppio e sulla mutazione, dove i segni personalissimi del cinema di Cronenberg si rivelano pienamente in tutta la loro potenza. Basta guardare l’ambiguità dello sguardo di un sorprendente Viggo Mortensen dopo che il figlio ha sparato al sicario prima di abbracciarlo o alla violenza in cui trascina sulle scale la moglie prima di farci sesso lì sopra. Ancora volti sporchi di sangue su un corpo che si duplica, che vive su doppie realtà. Un corpo quindi che si raddoppia sensorialmente in due personaggi come John Lone in M. Butterfly interprete dell’Opera e spia dei servizi segreti cinesi, proprio al contrario dei ginecologi di Inseparabili, lì invece due corpi che si uniscono.

 

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Titolo originale: id.

Regia: David Cronenberg

Interpreti: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Ashton Holmes, Heidi Hayes, Steve Arbuckle, Kyle Schmid

Distribuzione: 01 Distribuzione

Durata: 95′

Origine: Usa, 2005

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