A lezione con Enrico Ghezzi

“Il Cinema non lo vedo mai. È come un'ombra che mi salva la vita”. Un Blob continuo di immagini e parole nascoste tra la razionalità e l'eleganza muta e schiva di Enrico Ghezzi. Non un'idea di Cinema elitaria, ma una coscienza infelice nel vedere tutto uguale. Una ricerca del dissimile nel simile eccentricamente combattuta.

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In occasione del 25esimo compleanno di Blob, programma cult che segnò l'inizio della collaborazione tra l'autore bergamasco e il palinsesto Rai, Enrico Ghezzi ha presenziato all'ultimo case study proposto dalla scuola Sentieri Selvaggi di Roma. Dopo la visione di Cronaca di un assassino (The Blast of Silence) di Allen Baron, Ghezzi ha preso immediatamente la (sua) posizione di intermediario tra pubblico e pellicola, per dar vita ad un flusso continuo di immagini privo di scogli e indiscutibilmente reale. Se il film di Baron ha poca attinenza con la materia del discorso di Ghezzi, o meglio, se non ha un'attinenza particolare rispetto ad altre opere Noir, è perché è l'immagine, dovunque si trovi, a doverci avvolgere con decisione. A doversi smarcare nella società contemporanea come Titti fa con Silvestro. Il passaggio da un fotogramma all'altro, come un'ombra che appare e scompare, è la sostanza della riflessione teorica di Ghezzi, la sostanza di quello che si vede e non si vede al Cinema. Il “Mi è sembrato di vedere un gatto”, titolo scelto per la lezione, diviene allora manifesto dell'esperienza Cinema: illusione pura, fruizione insicura di qualcosa d'insicuro. Serialità proiettata a combattere contro ogni immagine possibile, come una scheggia impazzita costantemente in ritardo.

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“Schegge è un programma che nasce già fratto e frattale. Frantumi che si nascondono negli anfratti del palinsesto e ne derivano. Frammenti di repertorio di un repertorio che insegue la sua forma senza forma”. Un'idea di Cinema, quella di Ghezzi, nata dalla necessità ed impellenza di far partire un circo continuo di immagini, in quanto in Italia la quantità di immagini televisive era incredibilmente alta. Una vetrina di immagini a prezzi di saldo, pronte per essere indossate e confrontate con la realtà. Le schegge, tali in quanto difficilmente maneggiabili, si collocano quindi nell'eterno ritardo dell'immagine, nel suo essere inconsapevole passato, evento accaduto, negazione del movimento e, allo stesso tempo, paradossale riproposizione della vita. Il chiamare schegge una tipologia di cose da far vedere, era ed è un modo elegante per chiamare l'impossibilità. Ma anche per esasperare le differenze o banalmente creare un monumento del caos, disordinatamente anarchivistico. “Le immagini non sono mai ordinate in un linguaggio”, e i modelli di riferimento sono dichiaratamente Andy Warhol e Mario Schifano, artisti capaci di mantenere integri gli oggetti, pur inserendoli nella serigrafia delle immagini. Il rivolgersi a un non pubblico, la mancanza di coordinate nelle Schegge, o ampliando i confini, in tutto il pensiero di Ghezzi, è l'ultimo grido di un Mondo sempre più messo in posa, frenetico, rapido, scheggia quasi impossibile da vedere. La scelta di non dare informazioni sulla provenienza delle immagini, risponde alla volontà di Ghezzi di lasciarsi disorientare da ciò che sta vedendo. L'immagine è potere e dovere, sogno e godimento. È ottusità. Meglio non capirla o capirla poco, che fingere di averla capita. “Non mi interessa per niente la materia, mi interessa il gusto”.

 

Tra il ricordo di Angelo Guglielmi, scaglie di cioccolato succhiate con lentezza (a proposito di gusto), e un bambino presente in sala, immagine di Ghezzi sdoppiata senza tempo, l'ultima parte della lezione è la chiusura di un cerchio fatto, disfatto e insoddisfatto di Cinema. Una serie di immagini e autori rievocati in un discorso apparentemente inaccessibile, pungente e cosparso di ostacoli. Come una palestra di (s)montaggio ogni singola installazione del nostro corpo viene ferita, (ri)allenata, (ri)modellata, da nuove conoscenze capaci di colmare in parte le infinite lacune pregresse che ognuno si porta. Nutrirsi Fuori Orario a volte fa bene.
 

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