A Look Through His Lens, di Gregory Hoblit e Matthew Berkowitz

Una lezione di cinema attraverso la carriera del direttore della fotografia Philippe Rousselot. Ottimo docu-ritratto, frenato però dalla freddezza formale. RoFF19. Alice nelle città.

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A Look Through His Lens, film-ritratto diretto dalla coppia di registi statunitensi Gregory Hoblit e Matthew Berkowitz ripercorre, pellicola dopo pellicola, la carriera del direttore della fotografia  Philippe Rousselot andando a sviscerare il suo metodo di lavoro, il suo rapporto col cinema e il modo di relazionarsi con le altre personalità sul set – dai registi, ai costumisti sino agli attori che Rousselot va ad illuminare. Sin dall’inizio giunge quindi l’impressione di avere a che fare con l’analisi di un artista a tutto tondo, che sin dai suoi esordi vedeva nel romanticismo della pittura l’ispirazione per svolgere il suo lavoro sul set: l’illuminazione secondo Philippe Rousselot è un qualcosa di inscindibile dal racconto cinematografico. E allora ecco che A Look Through His Lens sembra intendersi come una lezione di ripasso lucidissima proprio sul “mezzo cinema” e su come questo agisca attraverso l’immagine nel plasmare le storie che porta con se.

Sin dal suo esordio del 1981 in Diva a fianco di Jean-Jacques Beineix, la maestria di Rousselot emerge nello sprigionare la varietà di contrasti in grado di viaggiare parallelamente ai protagonisti, accompagnandoli nel viaggio dell’evoluzione narrativa. Da lì in poi il suo talento non passa inosservato, e nel suo mettersi in gioco ci si rende conto della poliedricità di uno dei direttori della fotografia forse più influente degli ultimi decenni: da Troppo bella per te! di Bertand Blier a Intervista col vampiro di Neil Jordan sino al sodalizio con Tim Burton in Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie, Big Fish e La fabbrica di cioccolato, le potenzialità sembrano inesauribili. E uno tra gli aspetti più apprezzabili della personalità di Rousselot emersi durante questa lunga intervista (intervallata da racconti in prima persona di tutti coloro che hanno condiviso un set o più con lui) sembra essere proprio la sua propensione alla perenne messa in discussione. Fa sorridere difatti quella sua strana ossessione, all’inizio della carriera, per l’utilizzo smodato e magistrale delle “lampade cinesi” come scelta obbligata in ogni film; ossessione poi, a detta sua, fortunatamente superata.

E andando avanti nella visione ci si rende conto anche di come Rousselot sia una persona che attraverso la rilassatezza che mette nel lavoro sia in grado di arrivare a soluzioni geniali; e la sua spiegazione in merito sembra essere quasi sempre un “è successo, menomale che sia andata così!”. Insomma, A Look Through His Lens funge benissimo da memorandum riguardo la sostanza vitale del cinema, che risiede nel lavoro intrinsecamente parallelo tra il muoversi nello spazio e un illuminazione congeniale. L’unico rischio che si avverte sembra essere però la scarsa fedeltà nei confronti dello spettatore, che post visione potrebbe tendere a percepire A Look Through His Lens come una carrellata di immagini che, seppur bellissime e costruite magistralmente, restituiscono l’impressione di un’esperienza niente più che en passant.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)

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