A noi rimane il mondo, di Armin Ferrari

La poetica del collettivo Wu Ming diventa il mezzo per interrogare idealmente il binomio Storia-ambiente. Ma l’eccesso didascalico limita l’oltranzismo del racconto. Oggi al PerSo di Perugia

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La parola e lo spazio. Le voci e il paesaggio. A partire da questi dualismi A noi rimane il mondo lega i numerosi filosi che lo attraversano al potere totalizzante delle storie, capaci di costruire, nelle loro configurazioni polisemantiche, un rapporto nuovo tra uomo e storia, individuo e natura. Come sacche di un presente in continua trasformazione, le sette frazioni di cui si compone il documentario cercano di affermare, proprio attraverso la ramificazione narrativa, la stessa complessità strutturale su cui nasce e si sviluppa il lavoro creativo del “Collettivo Wu Ming”. Ovvero di quella (macro)dimensione culturale a cui il regista, nel raccontare le sue realtà multiformi, àncora le connessioni estetiche tra il potere storicizzante della parola e le trasformazioni ambientali che ne circondano gli afflussi.

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In questo senso la propensione all’incastro narrativo, alla suturazione di micro-storie in un mosaico rappresentativo più articolato, non è frutto di casualità né di un certo istinto all’autocompiacimento. A motivare la ragnatela di storie e intrecci di A noi rimane il mondo è infatti la stessa stratificazione su cui si fonda il complesso culturale di partenza. Perché il “Wu Ming” non è un collettivo come gli altri. Nella struttura, come nell’azione poetica, ingloba una sequela quasi infinita di storie, gruppi, attività ed espressioni artistiche, in modo da rintracciare nella polifonia orchestrale di fondo, l’incipit della sua stessa parabola oltranzista. E in termini altrettanto eterogenei il film di Armin Ferrari si muove tra materiali testuali dallo statuto polivalente. Con il documentario che ragiona sempre secondo una logica di accumulazione: storie di decolonizzazione delle “narrazioni mainstream” (del gruppo “Resistenze in Cirenaica”) si intrecciano alla toponomastica di una Bologna progressista, mentre ricordi personali (come quello del nipote di un partigiano afrodiscendente) o collettivi (dell’associazione “Alpinismo Molotov”) fungono da legante tematico per esplorare la reciprocità di influenze tra i sentimentalismi umani delle storie e l’incontaminazione naturale dei paesaggi.

Si viene così a formare un binarismo estetico che consente ad A noi rimane il mondo di interrogare problematicamente i rapporti tra verità storiche e ambienti presenti, ma che al tempo stesso rischia di affondare sotto l’enfatica azione di un didascalismo percepito come eccessivo. Sotto il segno cioè di quella piattezza verbale, che nella glacialità del voice over, priva di spontaneità e di genuina emozione immagini comunque cariche di tensione. E in questo senso, forse, si sarebbe dovuto osare di più: a volte bisogna avere il coraggio di sottrarre la parola all’immagine. Di lacerare il filo rosso che le tiene unite. È l’unico modo per verbalizzare artisticamente le ramificazioni di un mondo imprevedibile. Anche quando resiste ad ogni tentativo di interpretazione.

Titolo originale: id.
Regia: Armin Ferrari
Interpreti: Wu Ming, Antar Mohamed Arincola, Jadel Andreetto, Nicoletta Bourbaki
Durata: 78′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
4 (2 voti)
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