A Salamandra, di Alex Carvalho

Più che raccontare una donna che cerca se stessa, A Salamandra si concentra sull’attraversamento della fase del lutto, sul sostare in mezzo alle fiamme prima di riuscirne illesi. Presentato alla SIC

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Catherine ha passato anni ad accudire il padre e alla morte di quest’ultimo si ritrova spaesata e senza progetti da perseguire. Decide quindi di andare a trovare la sorella in Brasile, per provare a ritrovare se stessa. Lì incontra Gil, giovane ragazzo brasiliano, sperduto anche lui. I due si invaghiscono l’uno dell’altra e cominciano a passare tutto il loro tempo insieme. Catherine ritorna pian piano alla vita e lo fa principalmente attraverso il contatto col corpo di Gil, colmando la mancanza attraverso il sesso, antidoto potentissimo contro la morte, esperienza vicina e al contempo distantissima da tutto ciò che è mortifero.

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Forse è proprio per questo che Alex Carvalho si concentra così tanto sugli incontri amorosi fra Catherine e Gil. Li riprende incessantemente, rivolto la maggior parte del tempo al volto della sua protagonista, come ad indagarne la rinascita ma anche in un certo senso anche la rovina. A Salamandra infatti è un film doppio, che intraprende due strade o meglio sosta fra le due: un film sulla rinascita della protagonista ma anche sulla sua necessaria distruzione. E ce lo dice il titolo stesso, riferendosi ad un animale che nella mitologia popolare è una creatura del fuoco, un essere  in grado  di attraversare le fiamme rimanendo illesa. Così l’opera prima di Carvalho più che raccontare una donna che ricerca se stessa e che rinasce, sembra piuttosto analizzare l’attraversamento del lutto e non ancora il superamento di esso. C’è rinascita certo ma solo passando attraverso la distruzione ed è proprio su questa distruzione, sul rimanere illesi sostando nel dolore, che il tempo filmico si concentra, insistendo su questo passaggio e su questa esistenza dai confini ancora non definiti.

Perché il racconto di un lutto non può non sostare nel torpore e nell’inoperosità. Catherine si trascina più che vivere coscientemente ciò che le succede intorno. E Marina Foïs è bravissima a rendere la sonnolenza del suo personaggio, perso nell’annebbiamento del lutto e scosso solo dall’orgasmo, breve epifania della coesistenza fra creazione e distruzione, fra la vita e la morte. Così A Salamandra rimane nel mezzo,  gira intorno a se stesso e lo fa in un certo senso morbosamente, come seguendo la morbosità della relazione fra i due personaggi principali, che con il loro amore colmano vuoti e riempiono mancanze, forse senza vedersi. Con le sue immagini quindi, Carvalho si concentra sul dolore quanto sul piacere, o meglio che cerca di mostrarne la coesistenza. Come la gioia e la pedanteria di certi ritmi tribali… Non a caso nella città dove Catherine affitta una casa per stare insieme a Gil si tengono per tre giorni i festeggiamenti del carnevale. I suoni ripetuti pervadono l’aria, le parate procedono dritte e non finiscono mai. Pian piano Catherine si abbandona a questo ritmo, vivendo il suo stato di trance in mezzo al fuoco prima di poter rinascere del tutto.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
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