AARON ECKHART – Le mille facce dell'America
Può essere considerato uno dei simboli attoriali del cinema americano contemporaneo. Proprio perché degli Stati Uniti è stato ed è, sullo schermo, incarnazione poliedrica. O anche lo scapolo d'oro. E invece usa quel suo viso familiare, rasserenante per incarnare l'ambivalenza morale del genere umano. Ora in sala con Attacco al potere.
Fisico curato e longilineo, capelli biondi e viso pulito, sorriso illuminante. Una mascella prominente con tanto di fossetta che, in alcune espressioni, lo fa sembrare una simpatica (talvolta inquietante) caricatura da cartoon.
Lui, californiano giramondo, può essere considerato uno dei simboli attoriali del cinema americano contemporaneo. Proprio perché degli Stati Uniti è stato ed è, sullo schermo, incarnazione poliedrica. Uomo in carriera, poliziotto, scienziato, militare, marito, padre. Dalla provincia suburbana, alla piccola realtà cittadina, dalla metropoli al centro della terra. Sempre padrone del ruolo, mai fagocitato dal personaggio. Dosando ogni interpretazione con tale maestria da far pensare che abbia non Due Facce, bensì mille. Tutte profondamente americane, nel bene e nel male. Una di quelle figure che Norman Rockwell avrebbe voluto tratteggiare. Ma che, come l'edulcorata trasposizione del sogno americano, nasconde un lato oscuro della medaglia.
E non è un caso che tanti grandi registi lo abbiano voluto, anche solo per piccole parti. Steven Soderbergh, Oliver Stone, Sean Penn, Ron Howard, John Woo, Brian De Palma, Christopher Nolan. La sua presenza all'interno di un film è tanto naturale da rendere, spesso, un'attesa la sua assenza.
Aaron Edward Eckhart è nato il 12 marzo del 1968 a Cupertino, nella Silicon Valley in California. Famiglia di mormoni, la madre Martha autrice per bambini e il padre James nel ramo dell'informatica (entrambi di lontane origini teutoniche, evidenti nei suoi tratti somatici). Terzo di tre fratelli.
A causa del lavoro del padre, a 13 anni si trasferisce a Walton-on-Thames, nel sudest dell'Inghilterra. Per poi traslocare ancora in Australia, alle Hawaii e persino in Svizzera.
Dopo aver lasciato una prima volta il college si laurea alla Brigham Young University a Provo (Utah). Come sempre, l'amore per il cinema nasce fra i banchi di scuola.
L'incontro decisivo è quello con Neil LaBute, regista, sceneggiatore e drammaturgo. Si conoscono proprio al college, ne nasce un sodalizio duraturo. Eckhart diventa, se non l'attore feticcio, il talismano di Neil (lavoreranno assieme in ben cinque film, Nella società degli uomini, Amici & vicini, Betty love, Possession – Una storia romantica, Il prescelto).
Dopo aver saggiato i set televisivi con una piccola apparizione in Beverly Hills 90210 nel 1994, tre anni più tardi arriva il debutto sul grande schermo. Proprio con Neil LaBute. Il film è la trasposizione di un'opera teatrale dello stesso regista (Nella società degli uomini). L'interpretazione sadica di un trentenne in carriera che, per puro edonismo, seduce e abbandona una ragazza sorda gli regala subito due riconoscimenti notevoli (Independent Spirit Award for Best Debut Performance, Satellite Award for Outstanding New Talent). Nasce subito l'arcano ossimoro. Bello di aspetto, presenza all'apparenza rassicurante, Eckhart infonde nel personaggio una cattiveria che gela il sangue. Bipolarismo estetico su cui giocherà spesso con maestria nelle sue interpretazioni.
Fioccano gli ingaggi. Eckhart vanta partecipazioni anche in film di un certo livello. Ogni Maledetta Domenica, Erin Brockovich, La Promessa, The Missing, Paycheck. Ruoli sì da comprimario, ma decisamente incisivi.
Nel 2006 la svolta definitiva. Il ruolo che è, ancor oggi, la summa della grandezza dell'attore. Seppur con le dovute distinzioni, alcuni concetti espressi da Nick Naylor (alterego filmico in Thank You for Smoking) potrebbero essere messi in bocca ad Aaron. Sicuramente per come ha deciso di percorrere la sua strada professionale. Potrebbe essere lo scapolo d'oro, il modello lucente da seguire. E invece usa quel suo viso familiare, rasserenante per incarnare l'ambivalenza morale del genere umano. Scegliendo, metaforicamente, di incassare insulti. Quell'anno vince il Golden Globe come miglior attore nella categoria Commedia/Musical.
Il successo gli permette, evidentemente, di scegliere con maggior cura i ruoli.
Nella trasposizione del capolavoro di James Ellory, The Black Dahlia di De Palma, rappresenta una figura chiave, quella di Lee Blanchard, che giganteggia sul protagonista Josh Hartnett.
Nel 2008 suggella la personale escalation con un altro ruolo da consegnare agli annali. Harvey Dent/Due Facce ne Il Cavaliere Oscuro di Nolan. Estrema e più efficace dimostrazione dei folli esperimenti sociologici del Joker, Dent mostra la volubilità della natura umana. Sfigurato, straziato dal dolore, da paladino di Gotham ne diventa carnefice. La moneta, dapprima truccata, assume i due lati opposti. La metafora attoriale diventa lapalissiana. La lama a doppio taglio di quel volto rassicurante, votato al lato oscuro.
In tutto l'universo supereroistico, Eckhart avrebbe piuttosto le fisique du role di Steve Rodgers (Cap America). Ma non è l'idea di attore di Eckhart, abituato per indole all'intero spettro delle sfaccettature della natura umana.
Da lì in avanti, dosa di più le sue apparizioni. Registrando sempre ottime interpretazioni. Su tutte, probabilmente, il film drammatico Rabbit Hole in coppia con Nicole Kidman.
Con Attacco al potere – Olympus has fallen chiude il cerchio. Dopo aver incarnato gli USA in tutti i modi, ne diventa simbolo più riconosciuto. Il presidente.