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Accordo tra Netflix e Spotify nel segno del video-podcast

Un accordo tra i due colossi dello streaming segna una nuova fase nella fruizione streaming dei podcast, riflettendo un sistema sempre più orientato al profitto delle piattaforme e non degli utenti

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Netflix entra ufficialmente nel mondo dei podcast grazie a un accordo siglato con Spotify – annunciato martedì 14 ottobre – che segna un nuovo capitolo nella collaborazione tra piattaforme streaming, dove i confini tra audio e video si fanno sempre più sottili. A partire dall’inizio del 2026 su Netflix saranno disponibili le versioni video di sedici podcast prodotti da Spotify Studios e The Ringer, il sito fondato dal giornalista sportivo Bill Simmons che Spotify aveva acquistato nel 2020. Tra i titoli inclusi ci sono The Bill Simmons Podcast, The Rewatchables e The Big Picture, mentre, a sorpresa, viene escluso The Joe Rogan Experience, podcast di punta della piattaforma di musica streaming, la quale aveva stipulato un accordo multimilionario per la sua esclusività. Si tratta di una prima selezione di contenuti, destinata ad ampliarsi nel tempo con altri programmi di sport, cultura, lifestyle e true crime.

Secondo Roman Wasenmüller, vicepresidente di Spotify per i podcast, la collaborazione “apre nuove opportunità di scoperta e porta le storie che gli utenti amano su piattaforme diverse, ampliando le possibilità per creatori e pubblico”, mentre il co-CEO di Netflix Ted Sarandos ha dichiarato che “le linee tra podcast e programmi di intrattenimento stanno diventando sempre più sfumate”. L’accordo nasce in un momento di forte espansione per il formato video nei podcast, come sostiene un recente studio di Cumulus Media, il 72% degli ascoltatori dichiara di preferire show che hanno anche un formato video. Spotify, che negli ultimi anni ha investito miliardi nel settore audio acquisendo studi come Parcast, Gimlet Media, punta così a rafforzare la propria presenza nell’audiovisivo.

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Bill Simmons

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Negli ultimi anni, però, gli ingenti investimenti di Spotify nel settore podcast non si sono tradotti in buoni profitti, spingendo l’azienda a rivedere la propria strategia. La nuova direzione punta sul video come leva di crescita e di monetizzazione, soprattutto per intercettare la Gen Z, abituata a consumare contenuti in formato visivo nei social come TikTok e Instagram. Come riporta TechCrunch, nel secondo trimestre del 2025 la piattaforma ha dichiarato di ospitare oltre 430.000 video podcast, con un consumo in aumento di venti volte rispetto all’audio. Più di 350 milioni di utenti hanno riprodotto almeno un video su Spotify, segnando una crescita del 65% su base annua.

L’accordo tra i due colossi dello streaming che può sembrare solo un’operazione di distribuzione, in realtà è un cambio strutturale nel modo in cui i contenuti vengono fruiti all’interno delle piattaforme. La nuova crossmedialità del podcast promessa come un’esperienza che integra audio, video e interazione – sulla scia anche delle recenti incursioni di Netflix anche nel mondo dello sport – potrebbe però rivelarsi come una sorta di illusione, poiché si tratta di un’evoluzione che è pensata per massimizzare i ricavi delle aziende e dei creator. L’utente, così, resta intrappolato nella condizione di consumatore passivo alle prese con inserimenti pubblicitari, cambi di policy e rincari degli abbonamenti. È l’illusione di possedere un servizio che alla fine possiede te. Ed è qui che il processo di enshittification descritto dallo scrittore Cory Doctorow procede inevitabilmente, con le piattaforme inizialmente attrattive e orientate all’esperienza dell’utente/abbonato per poi finire per deteriorarsi su contenuti e fruizione, diventando sempre più funzionali agli interessi degli investitori e delle aziende, e sempre meno a quelli di chi le utilizza.

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