"Acque silenziose", di Sabiha Sumar

Un film che si guarda come un documentario e si vive come una tragedia, costruito con intenti didascalici ma incentrato sul parallelo tra la storia di una nazione controversa, come il Pakistan, e la storia di una donna. Perché è la donna che catalizza gli effetti più nefasti dell'attitudine umana a dividersi in gruppi.

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Difficile il tentativo di Sabiha Sumar di riassumere le vicende avvenute in un paese come il Pakistan dal 1947 fino ad oggi. In sessant'anni la "terra dei puri" ha conosciuto diaspore, guerre civili, massacri etnici, dittature militari, tentativi di democratizzazione della vita civile; ha imboccato strade tortuose come l'accostamento ai regimi comunisti, ed ha effettuato poderose inversioni di marcia che l'hanno avvicinato ai fanatici del Corano ed alla legge islamica. Nel suo primo lavoro di fiction, la documentarista pakistana evita quindi con attenzione di risolvere complesse e dolorose questioni nel breve spazio di una visione cinematografica.
Fatti salvi i propri evidenti intenti didascalici, la Sumar si concentra sulla concatenazione degli effetti causati dai gesti umani: da scelte che, in quanto umane, sono sempre e comunque "politiche". E' così che la regista (e sceneggiatrice) finisce per approfondire lo sguardo soprattutto sulle figure femminili: quelle che, in ogni epoca e ad ogni latitudine, hanno catalizzato su di sé le conseguenze più nefaste dell'innata attitudine umana a suddividersi in gruppi, fazioni, tribù, appellandosi ora al credo in un dio più divino degli altri, ora alla convinzione di essere titolari di diritti superiori a quelli del prossimo. E quando le due cose coincidono, quando cioè la legge che crea il conflitto discende direttamente dal cielo, sono guai per tutti: donne per prime.
E' allora in un parallelismo tra nascita di una nazione e rinascita di una donna che risiede il senso – ed il valore – di Acque silenziose: la vicenda di Ayesha, scampata al sacrificio mentre il Pakistan veniva alla luce, a prezzo della conversione all'Islam, si associa al tormento di un paese fatto di persone che avrebbero voluto vivere in pace e dimenticare gli orrori dell'esodo forzoso, degli stermini, degli assolutismi. Il film della Sumar si guarda come un documentario e si vive come una tragedia; gli si perdonano semplicismi tecnici e narrativi, compiuti in nome di un manifesto desiderio di esportare, lontano dai propri confini, la conoscenza di un passato che i pakistani pregano non debba mai tornare, e che invece appare sempre più presente. La Sumar vuole dare voce a quella parte di Pakistan che pensa, in maniera critica, al proprio futuro; a quei pakistani che, come la nuora che la protagonista non avrà mai, afferma: "Non è perché prego che ho smesso di pensare".

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Titolo Originale: Khamosh Pani: Silent Waters


Regia: Sabina Sumar


Interpreti: Kiron Kher, Aamir Ali Malik, Arsad Mahmud, Salman Shahid, Shilpa Shukla


Distribuzione: Mikado


Durata: 99'


Origine: Francia, Germania, Pakistan, 2003

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