“Act of Valor”, di Mike McCoy e Scott Waugh

Act of Valor
La macchina da presa si esibisce come elemento che è dentro il set e l’immagine, adottando un  punto di vista entropico che esplode letteralmente nelle scene di guerra successive, dove l’obiettivo rimane attaccato a metallo, carne e ambienti, secondo un’estetica di documentarismo stilizzato che ha molto in comune con certe dinamiche figurative del videogame bellico

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ACT OF VALORLa prima missione dei navy seals del duo Mike McCoy e Scott Waugh, due ex stuntmen già autori di un documentario avente i soldati americani per protagonisti intitolato Navy Swcc,  inizia con un lancio di paracadute che ripercorre la traiettorie adrenaliniche bigelowiane di Point Break. La macchina da presa si esibisce subito come elemento che è dentro il set e l’immagine, adottando un  punto di vista entropico che esploderà letteralmente nelle scene di guerra successive, dove l’obiettivo rimane attaccato a metallo, carne e ambienti, secondo un’estetica di documentarismo stilizzato che ha molto in comune con certe dinamiche figurative del videogame bellico. È probabilmente l’elemento più interessante di Act of Valor: una spettacolarità a suo modo dis-umana e postmoderna, scandita da un piacere laico per lo scontro a fuoco, che la sceneggiatura di Kurt Johnstand (300) incastona dentro un plot che vede il gruppo speciale impegnato prima nella difficile missione di recupero di un ostaggio della Cia e poi a scardinare il pericoloso piano terroristico di fuorilegge mussulmano che dal sudest asiatico li porterà al confine messicano per sventare il passaggio negli USA di pericolosi kamikaze. Fin dall’inizio il riferimento immediato, oltre alla Bigelow, diventa quasi immediatamente John Milius, il cui culto superomistico e la celebrazione dell’amicizia virile – elemento centrale dell’opera, scandita dal racconto in voice over del protagonista Sanchez al figlio del commilitone Walter –  sono i cardini umanistici con cui fondere la roboante spettacolarità dell’operazione con il sentimento romantico di eroi disposti al sacrificio. Non è un caso che i militari di Act of Valor pratichino il surf e finiscano con il fare giuramento attorno a un focolare sulla spiaggia (Un mercoledì da leoni), a scandire una referenzialità programmatica nei confronti del regista di Conan.

ACT OF VALOR

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È forse un peccato che i due autori non abbiano giocato fino in fondo la carta della velocità e di una totale assenza di struttura  che avrebbe potuto portare a una vorticosità orizzontale costantemente action. Dopo un inizio folgorante – la prima missione, quella nelle foreste filippine, è certamente la migliore di tutto il film –  Act of Valor cede infatti alla tentazione di appoggiarsi su un plot di stampo terroristico, vagamente abbozzato, certo non invasivo, ma che finisce con il normalizzare drammaturgicamente un’opera che nella sua suddivisione orizzontale in livelli/prove/missioni avrebbe potuto davvero costruire una sua modernità. È questo del resto uno dei meriti maggiori e forse meno sottolineati di un’opera centrale come The Hurt Locker, ovvero il suo incedere seriale, in cui ogni missione diventa “caso” a se stante, pagina cinematografica conclusa. Da questo punto di vista, nonostante le sue premesse semidocumentaristiche, il film rimane estremamente legato a un’impostazione di scrittura e razionalità che lo rendono un’opera meno estrema e “futurista” di quanto sarebbe potuto essere. Senza con questo limitare il fascino di un’operazione “a mano armata”, quasi dal sapore ottantesco, carica del fascino malato e bombarolo di quelle produzioni Golan Globus che attraverso il corpo da B-movie di Chuk Norris mettevano insieme l’idea dell'epica militare con l’artigianato di un cinema fedele allo spettacolo.

Titolo originale: id.
Regia: Mike McCoy e Scott Waugh
Intepreti: Alex Veadov, Roselyn Sànchez, Nestor Serrano, Emilio Rivera, Alexander Asefa, Carla Jimenez, Timothy Gibbs
Distribuzione: M2 Pictures
Durata: 111
Origine: USA, 2012

 

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