"After Earth – Dopo la fine del mondo", di M. Night Shyamalan

After Earth

Dove sta andando il cinema di Shyamalan? È stato veramente schiacciato dagli ultimi flop al box office? Ha veramente perso il sesto senso dopo quel sublime e definitivo happening? In After Earth, progetto partorito in “casa Smith”, il suo sguardo s’insinua nelle pieghe del racconto e sa divenire ancora fantasma, per pochi frame, quelli che bastano…

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Will Smith, Jaden Smith, After EarthInsomma, dove sta andando il cinema di M. Night Shyamalan? È stato veramente schiacciato dagli improvvisi ultimi flop al box office? Ha veramente perso il sesto senso dopo quel sublime evento, The Happening, che poneva definitivamente nell’invisibile le sue perturbanti inquadrature? Certo, il quesito va posto, di nuovo, per tentare di capire se c’è ancora qualcosa da filmare dopo la paura, dopo le storie, dopo la Terra, after earth. Appunto. Per capire come, dopo aver raggiunto la totale libertà del cinema e nel cinema, Shyamalan sia stato costretto a porsi dei limiti, accettare commissioni, imbrigliare il suo sguardo? Vediamo.

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After Earth è un progetto che nasce tutto in “casa Smith”, dalla forza produttiva di un attore che ha oggi il potere di creare i film che vuole per poi imporre il suo giovane figlio come nascente star protagonista. Soggetto scritto da Will Smith quindi, semplicemente “perché è stato bello lavorare insieme a Jaden e volevamo rifarlo”, trovare un regista adatto era il passo successivo. Shyamalan si imbarca volentieri nell’avventura, co-scrive la sceneggiatura, accetta per la prima volta in carriera di girare in digitale e rinuncia al fido occhio di Tak Fujimoto dietro la cinepresa. Tema dichiaratamente ecologista (la Terra distrutta dall’uomo e dai suoi eccessi), spunto narrativo da sci-fi classica (l’uomo deve emigrare dal proprio pianeta ormai invivibile), plot aderente al più archetipico viaggio dell’eroe (il percorso di crescita e cambiamento costellato da ostacoli e battaglie per la sopravvivenza). Un padre ferito e un figlio inesperto, mille anni dopo la migrazione dell’umanità, si ritrovano sulla Terra per un incidente spaziale che dà inizio al viaggio del giovane rampollo tra una miriade di pericoli tutti “naturali”. E sin qui siamo nei tipici territori battuti da Smith attore/produttore: training corporeo, afflato eroistico, costanti ricerche della felicità. E poi?

Jaden Smith, After EarthLo sguardo di Shyamalan s’insinua nelle pieghe del racconto codificato, si ferma contemplativo, in infiniti attimi, sul primo piano dei due, rendendoli inusitatamente fragili e mettendo in abisso ogni statuto eroico, perché sempre consapevole di un pressante fuoricampo. Sospiri dilatati, minimi moti “affettivi” del volto, evasione ingiustificata dalla narrazione che mappa l’umano nell’inquadratura e lo riporta sulla Terra. Perché azione e reazione in Shyamalan hanno sempre avuto un tempo che esula dalla diegesi sfiorando la vita per pochi attimi: il suo è un cinema che traccia perennemente la (non) configurabilità di quell’esile interstizio morale e filosofico che intercorre tra la paura e lo sguardo. “O è vita o è morte” dice anche qui il capitano Cypher Raige. E allora la lotta con i terribili mostri Ursa (creati dalla razza aliena Skrel per sterminare gli umani) si basa tutta, ancora una volta, sul superamento della paura. Gli Ursa vedono gli umani solo attraverso i feromoni sprigionati dal terrore: se, pertanto, si impara a conoscere e controllare questa pericolosa emozione si diventa invisibili al Male. Si acquisisce il ghosting (la spettralità), si diviene cioè invisibili ad ogni mostro. Si diviene ombra, immagine, cinema?

Lotta con la paura, After EarthEcco che il freddo eroe Cypher/Will Smith consegna al tormentato figlio Kitay/Jaden Smith il “ruolo” da protagonista, standosene immobilizzato nella navicella, da spettatore attivo dell’avventura: è un occhio onnisciente, 2.0, che vede attraverso la multimedialità e la proliferazione degli schermi, guidando il figlio da lontano. Sarà solo dopo il fallimento della techne più avanzata e futuristica che Cypher diventerà spettatore cinematografico tradizionale: non potrà più comunicare né intervenire, assisterà impotente alle “scelte” private del ragazzo. Il sentimento come ultima comunicazione possibile: Kitay mosso da sempre dallo sguardo infallibile del Padre/Mito se ne libera finalmente sulla Terra, trovando altre figure genitoriali pronte a sacrificarsi (è ancora un’aquila che salvaguarda la Story) e supera per una sola volta la paura divenendo ghost per pochi attimi, quelli che bastano. Nemmeno il cinema di Shyamalan ha paura di scontrarsi con l’ovvio, con le origini, con i propri limiti, come nella sequenza dei pittogrammi preistorici nella caverna (scelta scontata? Sì, certo, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, non è questo il punto): perché in quel buio infantile che per pochi attimi ci avvolge, riappaiono nitidi i chiaroscuri della vita e di ogni sua piega, da affrontare disegnando ogni futuro solo con i propri rudimentali pittogrammi. E il cinema libero di Shyamalan continua ancora a (r)esistere, nonostante tutto, come un fragile fantasma, solo per pochi frame. Quelli che bastano.

Titolo originale: After Earth

Regia: M. Night Shyamalan

Interpreti: Will Smith, Isabelle Fuhrman, Zoë Kravitz, Jaden Smith, Sophie Okonedo, David Denman, Lincoln Lewis, Kristofer Hivju, Sacha Dhawan, Chris Geere, Jaden Martin

Origine: USA, 2013

Distribuzione: Warner Bros

Durata: 100'

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    Un commento

    • Dopo OBLIVION il secondo più bel film di sci-fi degli ultimi anni. Meno originale, costellato di clichè, sia filmici che emozionali, tuttavia sempre riscattati dallo sguardo della cinepresa. Intenso. Peccato per le solite banalità ideologiche familistiche che accompagnano la seconda parte e il finale. Potevano essere evitate. Ma sono nel complesso digeribili.