Agente Lemmy Caution: missione Alphaville, di Jean-Luc Godard

Un film-labirinto che fa perdere lo spettatore dentro le architetture moderniste di una Parigi cupa e meccanica. Orso d’oro a Berlino. Stanotte, Iris, ore 1.30

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“Nessuno è vissuto nel passato, nessuno vivrà nel futuro: il presente è la forma di ogni vita. E’ un dominio che nessun male può togliere. Il tempo è come un cerchio che gira senza fine: l’arco che scende è il passato, quello che sale è il futuro. E’ stato detto tutto, a meno che le parole non cambino di senso, e il senso di parole”. Il computer Alpha 60 in  Alphaville di Jean Luc Godard

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L’adieu au langage di Godard ha delle origini ben precise.  Alphaville è uno dei primi film che lavora sulla luce e sul suono in senso antiretorico mostrando l’impossibilità delle parole a trasmettere un qualsivoglia tipo di verità. E ancora più anticonvenzionale è lo stravolgimento di una pietra miliare del cinema noir (Eddie Constantine e il suo iconico personaggio, l’agente segreto Lemmy Caution) per proiettarla in un futuro labirintico in cui sono scomparsi emozioni e sentimenti. Un Sam Spade gettato nella Los Angeles del 2019 a caccia di replicanti o un Maigret nella Parigi del 2001 che cerca di disattivare HAL 9000. Se la realtà è troppo pesante per potere essere trasmessa oralmente allora meglio sostituire le parole con frasi di circostanza, fonemi in loop sul modello “Io sto benissimo, grazie, prego”.

Lemmy Caution (Eddie Constantine) è un agente segreto che sotto la falsa identità di un giornalista di Le Figaro-Pravda cerca di sabotare il folle piano del Professor Von Braun-Nosferatu (Howard Vernon) che, attraverso il calcolatore elettronico Alpha 60, controlla le menti di tutti i cittadini di Alphaville. L’incontro con l’ investigatore Henri Dickson (Akim Tamiroff) alcolista sull’orlo del suicidio e con la bella programmatrice di seconda classe Natacha Von Braun (Anna Karina) porterà Lemmy Caution ad un livello maggiore di consapevolezza.

Godard, come Jean Cocteau ne l’Orfeo, parte da una posizione scettica e immagina un futuro in cui, in una città che richiama le atmosfere di Mabuse e di Metropolis di Fritz Lang, si sopravvive tra dizionari e tranquillanti, ci si abbandona alla Logica-Silenzio-Prudenza-Sicurezza in uno stato catatonico in cui “non si capisce mai niente finchè una sera si finisce per morirne”. In questo scenario orwelliano in cui l’umanità è destinata all’auto-distruzione, Godard fa irrompere, presentandola con il tema amoroso di Paul Misraki, la figura salvifica di Natacha che progressivamente si innamora di Lemmy anticipando di 17 anni la storia tra Rachael e Rick Deckard in Blade Runner. In questo parlare del futuro in chiave passata Godard utilizza due importanti matrici letterarie: la prima è quella di Borges e dei suoi labirinti spazio temporali (“la morte e la vita sono all’interno dello stesso cerchio”); la seconda sono le citazioni da La capitale del dolore di Paul Eluard (“Io andavo incontro a te senza fine/ incontro alla luce/Se sorridi è per avvolgermi meglio/I raggi delle tue braccia trapassano la nebbia.”) che vengono declamate solennemente con il viso di Anna Karina in primo piano in uno dei momenti più intensi del film.

Per aumentare il carattere sperimentale della narrazione Godard gira prevalentemente di notte con una pellicola ultrasensibile (Ilford HPS), alterna effetti visivi (neon, lampadine, accendini) a intermezzi acustici minacciosi, inserisce personaggi da fumetto tra formule della relatività, toglie coerenza ai dialoghi, capovolge la comunicazione non verbale (si annuisce per dire no) e arriva all’inversione totale della pellicola esibendo il negativo. Per i cultori del noir è uno shock spaventoso con la figura di Lemmy Caution che diventa auto-parodica (“Sono troppo vecchio per mettermi a discutere, quindi sparo.”) e il produttore Andrè Michelin che si ritrova tra le mani un oggetto indefinibile, frutto dello stravolgimento dell’iniziale trattamento dell’aiuto regista Charles Bitsch. La fantascienza diventa così un altrove dove verificare alternative al linguaggio cinematografico, un posto dove si muovono immagini che rimandano a un codice segreto. Una delle scene più esemplificative è quella dell’esecuzione in piscina dei cosiddetti rivoltosi (coloro che hanno ancora sentimenti) che prima di morire affermano il loro diritto all’umanità di fronte al Sistema.

Orso d’oro al Festival di Berlino del 1965, opera poliedrica che nasconde dietro le formule fisiche e matematiche i riflessi al neon di un mondo interiore in irreversibile dissolvenza, Alphaville è un film labirinto che fa perdere lo spettatore dentro le architetture moderniste di una Parigi cupa e meccanica. Ma la via di uscita sta nel riconoscimento di uno stato amoroso nascente. E quel “ti amo” sussurrato nel finale nel mezzo di un deserto affettivo perde le connotazioni sentimentali cinematografiche per diventare una forza di resistenza poetica.

 

Titolo originale: Alphaville: une étrange aventure de Lemmy Caution
Regia: Jean-Luc Godard
Interpreti: Eddie Constantine, Anna Karina, Howard Vernon, Akim Tamiroff
Durata: 98′
Origine: Francia, 1965
Genere: fantascienza

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
4 (6 voti)
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