Agra, di Kanu Behl

Soffre di uno sviluppo narrativo molto lento e restano un po’ in ombra il riflesso comunitario, la violenza esercitata su una donna sola ed in generale il discorso di genere. Quinzaine

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Nove anni dopo l’ultima apparizione sulla Croisette Kanu Behl torna a Cannes, forte del buon ricordo lasciato nel 2014 con Titli nella sezione Un certain regard, ma compie un preciso cambio di rotta. Abbandonate le atmosfere del noir passa ad un melodramma drammatico-surreale, con delle accentuate sfumature erotiche ed un finale da commedia, inserito nella Quinzaine des Cinéastes, provando ad incastrare il disastro abitativo e alle vicissitudini sentimentali ed economiche di una famiglia indiana e soprattutto del protagonista Guru. Ormai ventenne, con un lavorio precario e senza una fidanzata, il ragazzo vive dentro una psicosi onanistica l’ossessione ormonale che lo rende vittima di allucinazioni e sogni ad occhi aperti.

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Alla base dei problemi c’è una casa a due piani in una bella strada della città di Agra, che contiene i progetti dei componenti del nucleo familiare raccolto al suo interno. Per la cugina di Guru l’ideale sarebbe quello di aprire uno studio dentistico, mentre ai suoi occhi quello spazio significa la conquista d’indipendenza in vista di un possibile matrimonio. Il film soffre di uno sviluppo narrativo molto lento, come se la confusione, l’incertezza e la fragilità del protagonista in un processo di contaminazione avessero invaso lo schermo. I tratti poco chiari mortificano la tematica sociale finché il quadro passionale viene attenuato ed alla bramosia sessuale si affiancano dinamiche speculative. Una cornice più razionale dunque apre il racconto ad una visione più collettiva. Prima che avvenga gelosie, tradimenti, rancori ed ogni altra emozione spingono la storia verso una disperata follia. All’improvviso invece Guru incontra Priti, una donna con due matrimoni alle spalle, e tutto d’incanto comincia a funzionare, e da un potenziale incel analogico si passa ad una morbosa educazione sentimentale.

Il finale romantico ha carattere controtematico e lì dove il regista si era preoccupato di rappresentare i rapporti in maniera disfunzionale trova nella stabilità fisiologica del coito, nella sicurezza di avere un tetto sulla testa e nella serenità il rilancio di una più classica storia d’amore. Restano invece sempre un po’ in ombra il riflesso comunitario, la violenza esercitata su una donna sola ed in generale il discorso di genere, schiacciate dietro la linea di confine dello sguardo le pressioni e le aspettative familiari suggeriscono un mondo che non hanno mai veramente il coraggio di affrontare, sottratto da una nebulosa di voluttà oscura.

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