"Ai confini del Paradiso", di Fatih Akin

L’instabilità geografica sull’asse Germania Turchia e i tortuosi percorsi sentimentali sono ancora gli elementi caratterizzanti dell’opera del regista turco. In questo film sembra però contare solo la narrazione. Nei destini privati appare soprattutto assente quella fisicità dei corpi e dei luoghi che comunque traspariva in La sposa turca. Miglior sceneggiatura al 60° Festival di Cannes

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Si muove ancora sull’asse Germania/Turchia l’opera di Fatih Akin, il trentatreenne cineasta nato ad Amburgo che si è messo in luce con La sposa turca con cui ha vinto l’Orso d’Oro a Berlino. In Ai confini del Paradiso si avverte da subito che i confini dei due paesi, diventati contigui nel controcampo, vengono continuamente attraversati dai protagonisti. Stavolta il cineasta turco, rispetto a La sposa turca, predilige una visione più corale dove le singole storie sono collegate tra loro, ma i percorsi sono molto simili. Al centro della vicenda di Ai confini del Paradiso – presentato in concorso al 60° Festival di Cannes dove è stato premiato per la miglior sceneggiatura – ci sono Aif, un vedovo che abita in Germania e che decide di convivere con Yeter, una prostituta di origine turca malgrado le reticenze del figlio Nejat, un giovane professore universitario che gradualmente si affeziona alla donna. Yeter ha una figlia, Ayten, che non vede da tempo e che vive in Turchia. La prostituta manda alla ragazza dei soldi per gli studi e ignora il fatto che lei è una fervente attivista politica. Un giorno, dopo una colluttazione con Aif, Yeter cade a terra e muore. Nejat si reca così ad Istanbul, alla ricerca della figlia della donna, ma ignora che la giovane, dopo una manifestazione, è scappata dalla polizia turca partendo verso Amburgo. Qui conosce Lotte, una ragazza tedesca e le due entrano in confidenza.

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Nel film di Akin sembra contare solo la narrazione. Il resto è superfluo. Ai confini del Paradiso può rappresentare un altro percorso su figure segnate dall’instabilità geografica, su personaggi alla continua ricerca della propria identità, che è come se si trovassero spesso, dal punto di vista emotivo, dall’altra parte rispetto al luogo in cui si vivono. Il regista turco ha la necessità di raccontare troppe cose e il suo sguardo segue svogliatamente un percorso narrativo incentrato sull’impossibilità del raggiungimento della felicità. Il film è infatti segnato da due didascalie che preannunciano il destino dei personaggi: “la morte di Yeter” e “la morte di Lotte”. I destini sentimentali sono molteplici ma sono senza respiro, non vissuti e in cui appare assente quella fisicità che comunque traspariva in La sposa turca. Inoltre, paradossalmente, diventano anonimi anche i luoghi. Non più viaggio di ricerca, ma indistinto flusso sonoro, paradossalmente impersonale rispetto al lavoro fatto da Akin con il documentario Crossino the Bridge – The Sound of Istanbul.

 

Titolo originale: Auf der anderen Seite/Yasamin kiyisinda

Regia: Fatih Akin

Interpreti: Nurgul Yesilçay, Baki Davrak, Tuncel Kurtiz, Hanna Schygulla

Distribuzione: Bim

Durata: 122’

Origine: Germania/Turchia, 2007

 

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La scheda del film

Recensione di Crossing the Bridge

Recensione di La sposa turca

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