AI.Motion Festival. I corti di Andrea Gatopoulos e Marco Talarico

Presentati durante l’AI.Motion Festival, i corti dei due registi italiani impostano un affascinante dialogo sulle nuove frontiere dell’immagine e sul futuro della settima arte nell’era dell’AI

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Domenica 13 ottobre, presso l’Università IULM, si è conclusa la prima edizione dell’AI.Motion Festival, il primo Festival Italiano dedicato alla fusione sinergica tra Cinema e Intelligenza Artificiale. La giornata conclusiva ha offerto al pubblico non solo la premiazione delle opere vincitrici all’interno del Concorso, ma anche la proiezione evento dei cortometraggi The Eggregore’s Theory di Andrea Gatopoulos e At Least I Will Be 8 294 400 Pixel di Marco Talarico, a cui è seguito un dialogo con il regista Marco Talarico. Gatopoulos, impossibilitato a presenziare, ha comunque fatto recapitare un intervento pre-proiezione. Entrambi i titoli, già presentati in anteprima alla Settimana della Critica durante l’81esima edizione del Festival di Venezia, impostano un dialogo serrato e affascinante sulle nuove frontiere dell’immagine e sul futuro della settima arte nell’era dell’intelligenza artificiale.

The Eggregore’s Theory di Andrea Gatopoulos, selezionato come corto d’apertura della SIC, rielabora il tema della censura attraverso l’ausilio dell’AI. Una macchina (ancora) imperfetta che mastica e sputa fuori, destrutturando e deformando, i ricordi del narratore. La tragedia personale di un uomo che non ho più stare con la donna amata si intreccia alla tragedia collettiva di una metropoli dai contorni indefiniti. La città, infatti,  è sconvolta da una terribile notizia: le persone muoiono a causa di una parola. La paura e il terrore iniziali fanno spazio alla cieca razionalità di guerra. È necessario eliminare questa parola velenosa, estirparla e cancellarla. Ma se il problema sembra inizialmente essere risolto, ben presto arrivano altre parole-veleno che decimano la popolazione. È l’occasione perfetta per l’autorità costituita, che vieta subito ai propri cittadini di leggere, scrivere, riunirsi e parlare… E così la tragedia dell’indifferenza e della cieca obbedienza colpisce tutti, persino il protagonista, che perde anche le parole per esprimere i propri sentimenti verso la donna amata, e i cui deboli ricordi hanno la propria resa visiva nelle sempre più sbiadite e malinconiche immagini in b/n. All’uomo non resta che accettare, rassegnato, il suo (ma anche il nostro?) destino: “Nulla che non si potesse sopportare.” Attraverso questo breve ma efficacissimo racconto à la Fredric Brown, Gatopoulos ci trasporta nella pancia di una balena digitale, negli abissi di una memoria riscritta digitalmente, tra errori e glitch che deformano, disumanizzandole, le infelici memorie di un uomo.

Al concetto di ricostruzione reinterpretata di sogni e memorie è legato anche At Least I Will Be 8 294 400 Pixel, cortometraggio, nonché tesi di laurea alla NABA, di Marco Talarico. L’opera prima del regista, classe 1999, anch’essa presentata a Venezia81 alla SIC, è il tentativo da parte di un ragazzo, di ricostruire le foto di una vacanza passata attraverso un software di I.A. L’esperienza lo convince a partire per la Georgia, un luogo che forse gli permetterà di costruire nuovi ricordi e di incontrare la ragazza con cui, lui pensa, potrà finalmente ri-condividere le memorie del passato. L’opera di Talarico si sostituisce come film-saggio, nel quale coabitano liberamente diverse forme del linguaggio audiovisivo, reinterpretate in una chiave contemporanea con l’ausilio dell’AI. Come detto, un saggio sulla modalità con cui oggigiorno viviamo o pensiamo di vivere le nostre esperienze, immersi come siamo in una realtà i cui confini con l’esperienza digitale sono sempre più labili e impalpabili. Una realtà segnata dall’over stimolazione di parole, suoni, immagini che riproducono, senza alcuna soluzione di continuità, nuove esperienze. Quali abbiamo davvero vissuto e quali invece abbiamo solo immaginato di aver fatto perché, di fatto, ce le siamo trovate davanti a uno schermo? In questo download di ricordi fittizi il dialogo tra autore e macchina genera una profonda malinconia che permea le immagini sparse di un viaggio tra le deformazioni digitali di una memoria privata dell’esperienza fisica.

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