Air. La storia del grande salto, di Ben Affleck

La storia della nascita della Air Jordan, le mitiche scarpe della Nike. Dietro l’apparenza scanzonata, un altro grande film di Affleck

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Ci sono delle fantastiche immagini di Matt Damon e Ben Affleck che assistono a una delle partite delle World Series 2018, le ultimi finali della Major League di baseball vinte dai Boston Red Sox. Damon indossa una maglietta con la scritta “I’m with the stupid”, con il disegno di un indice che punta direttamente verso Affleck. Genuina goliardia bostoniana che racconta perfettamente l’eterna amicizia dei due ragazzi, “geni ribelli”, cresciuti a Cambridge con il sogno del cinema. Ma che definisce anche una delle dimensioni caratteriali di un’intera generazione, quella dei nati tra la fine degli anni ’60 e la fine degli anni ’70. La cui maggior qualità “umana” sta proprio nella rivendicazione della stupidità come antidoto alla retorica del successo e alla narrazione vincente delle generazioni precedenti, quelle che saranno alla guida degli arrembanti anni ’80 e, probabilmente, di quelle successive.

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Siamo proprio nel cuore degli Eighties, non a caso. Nel 1984, per l’esattezza, anno orwelliano, esplicitamente richiamato dalla pubblicità di Ridley Scott per la Apple, uno dei tanti riferimenti degli straordinari titoli di testa che attraversano tutto un immaginario, da Reagan a Beverly Hills Cop di Martin Brest. La storia di Air è basata su una sceneggiatura di Alex Convery, rimasta per un paio di anni a prendere polvere tra gli uffici degli studios di Hollywood. E racconta è la nascita delle Air Jordan, le scarpe da basket della Nike create appositamente per Michael Jordan, al suo primo anno di NBA. Proprio nel 1984. Non un semplice prodotto, ma l’atto di nascita di un brand destinato a creare profitti miliardari e a cambiare le mode fuori e dentro i campi da basket. Oltre a stabilire un precedente che modificherà per sempre i rapporti di forza tra gli atleti e le multinazionali in cerca di testimonial.

Eppure Jordan è un protagonista invisibile. Nonostante abbia dato il suo assenso alle riprese e abbia addirittura consigliato di ingaggiare Viola Davis per interpretare sua madre Deloris, resta invisibile, ripreso tutt’al più di spalle, una voce senza un volto. Aleggia tra le immagini di repertorio, puro segno immaginario, come gigantesca icona di uno sport e di un’epoca intera o come silhouette di un logo. Ad Affleck non interessa raccontare le gesta del campione né riportare in luce la sua ombra, i momenti oscuri o quella specie di megalomania da gangster, che era la traccia fondamentale della serie The Last Dance sull’epoca d’oro dei Chicago Bulls. No. Affleck preferisce perdere tempo negli uffici della Nike, nella sede di Portland in Oregon, tra gli impiegati, i consiglieri, i responsabili del marketing, i procuratori sportivi. E quindi, il protagonista assoluto del suo film è Sonny Vaccaro, consulente esperto assoluto di basket, chiamato per risollevare le sorti del marchio nel mercato della pallacanestro, dominato dalla Converse e dall’Adidas. È lui che ha l’intuizione decisiva: puntare tutto sul rookie, la matricola Jordan, terza scelta a un draft dominato dalla statura gigantesca di Hakeem Olajuwon. Tra i fotogrammi sgranati delle partite in VHS su cui si consuma gli occhi, Vaccaro intuisce non solo un talento unico. Ma tutta la gloria futura. È l’epifania che illumina la visione del profeta. Del resto ogni Messia ha bisogno di un profeta.

Insomma, Affleck, pur parlando di glorie, di successi, di imprese sportive e aziendali, racconta la storia che si forma dietro le quinte. Per opera degli “anonimi”, di quelli che, come dice lo stesso Matt “Vaccaro” Damon, non sono destinati a essere ricordati. Nonostante le proteste dello stesso Affleck, che nei panni di Phil Knight, fondatore e CEO della Nike, in straordinario equilibrio tra la stupidità più irresistibile e la genialità del guru. Di nuovo la stupidità, ecco. Le cose banali, senza senso, contro la logica. Antieconomiche. Le cose che fanno ridere gli altri, che fanno storcere la bocca agli intelligenti. E che pure muovono il mondo. Il più delle volte a poco a poco, ogni tanto per strappi improvvisi. Sì, per fortuna Affleck non ha bisogno di esibire intelligenza, come Adam McKay, che in Winning Time gioca con il mito dei Lakers di Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar. Anzi, a proposito di magnifici idioti, Air potrebbe sembrare un film con/di Adam Sandler, che sa bene quanto pesi lo sport e, in particolare, l’NBA nella costruzione dell’immaginario e nel narrare, di riflesso, un intero mondo.

Anche Affleck lo sa. Sin da quando in The Town, esibiva le felpe dei Red Sox o dei Boston Bruins. E da quando cercava una via di uscita alla crisi in Tornare a vincere di Gavin O’Connor. Ma qui va più a fondo. Con un atteggiamento apparentemente scanzonato attraversa un’epoca, tra le immagini e la colonna sonora, da Money for Nothing dei Dire Straits a Born in the U.S.A., passando per Blister in the Sun dei Violent Femmes e Time after Time di Cyndi Lauper. Eppure, proprio come il brano di Springsteen, che sembra un inno glorioso e, invece, racconta del Vietnam e del lato oscuro, incrocia lo spettro del fallimento dietro le arroganze del capitale. Sa parlare di paure, di possibili cadute, di dubbi che costeggiano la strada delle intuizioni. Tutti i personaggi del film, in fondo, sono soli. Vivono esclusivamente per ciò che fanno, senza che questo possa bastare a garantirne una felicità. O una memoria.  La famiglia di Jordan, nel far quadrato intorno al figlio, sembra essere un contraltare. Seppur anche qui, tra le profezie ci sia la minaccia della polvere e della morte. “It won’t be pretty”, recita non a caso una delle massime della Nike. Non sarà bello, non sarà piacevole. Eppure bisogna farlo comunque. Just do it. Fanculo, facciamolo!

Titolo originale: Air
Regia: Ben Affleck
Interpreti: Matt Damon, Ben Affleck, Viola Davis, Jason Bateman, Marlon Wayans, Chris Messina, Chris Tucker, Gustaf Skarsgård, Jessica Green, Matthew Maher, Julius Tennon, Barbara Sukowa, Joel Gretsch, Dan Bucatinsky, Tom Papa, LeChristopher Williams, Haylee Baldwin, Gabrielle Bourne, Andy Hirsch, Tami Jordan
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
Durata: 112’
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.5
Sending
Il voto dei lettori
2.52 (31 voti)
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