Al dio ignoto, di Rodolfo Bisatti

Al dio ignoto è un film del tutto controcorrente e del tutto estraneo ad ogni moda, attualità, contingenza, un’opera in qualche misura atemporale. Con Paolo Bonacelli, in streaming su Chili

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Nietzsche non sapeva liberarsi di Dio. Subiva il fascino del trascendente della religione cattolica nei cui insegnamenti era vissuto, ma ne detestava le implicazioni morali, la fede “paolina” come scrivono i suoi studiosi. In questa profonda antinomia risiede gran parte della sua ricerca e il suo approdo a Dioniso come divinità capace di dispensare una religione vitale. Le invocazioni del filosofo tedesco “al Dio ignoto” confermano il suo rivolgersi alla divinità, vedremo di che natura, dalla quale si sente lontano, ma che, come scrive nella poesia un cui verso dà il titolo al film di Bisatti, mi penetri nell’anima.
Se Nietzsche sceglie di avere una dialettica incessante con Dio, diventa anche il pensatore migliore per avviare un discorso con la morte che prelude, nel pensiero cattolico a quella desiderata ricongiunzione.
Nelle dichiarazioni che accompagnano il film Rodolfo Bisatti è chiaro nelle sue scelte e con altrettanta chiarezza le precisa: Una società che non pensa alla morte è destinata a morire. (…) Vivere nella consapevolezza della morte non significa esserne assoggettati ma, al contrario, gestire in modo migliore il proprio tempo, investire sugli aspetti essenziali della vita. Una visione che non è materialistica, ma che vede nelle cose di tutti i giorni lo splendore dell’Esserci; la Meraviglia. Intenti chiari che non hanno necessità di interpretazioni e che, soprattutto, in tempi come i nostri, questi mesi che stiamo vivendo, diventano ancora più attuali, stringenti e necessari. Se le cose, in fondo, non accadono casualmente, non è casuale che il film di Bisatti trovi ora spazio nella alternativa programmazione online che la pandemia ci ha insegnato ancora di più a praticare. Al dio ignoto diventa un film del tutto controcorrente e del tutto estraneo ad ogni moda, attualità, contingenza, per diventare un’opera in qualche misura atemporale e senza alcuna caratterizzazione di evento consumabile entro termini stabiliti o prevedibili. Il valore di una riflessione come quella alla quale ci induce Bisatti trae diretta origine dalla scuola autoriale e coraggiosa dalla quale proviene. “Ipotesi cinema” è la scuola fondata da Ermanno Olmi che come ogni intervento del regista bergamasco, dura nel tempo senza mostrare la corda, ed è la stessa dalla quale proviene il regista padovano qui alla sua settima esperienza cinematografica, dopo una ricerca nella sperimentazione visiva con il collettivo Kineo da lui stesso fondato.

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Lucia lavora in un hospice per malati terminali. Tra gli ospiti della casa di cura, il prof. Giulio, già insegnante di filosofia morale. Lucia è separata e vive con il figlio Gabriele appassionato di sport estremi. Lucia ha perso una figlia qualche anno prima ammalata di leucemia. Il suo dialogo quotidiano con la morte è consolato dall’amicizia profonda e paterna con il prof. Giulio, appassionato giocatore di scacchi.
La paura della morte non coglie chi ha vissuto nelle montagne si apre con questa riflessione l’entrata in scena di Giulio, uno straordinario Paolo Bonacelli, presenza quanto mai determinante per la piena riuscita del progetto. Un’operazione che trova proprio nella semplicità dell’approccio scenico, cui fa da controcanto il senso ultimo dell’ambiziosa concezione, il difficile contemperamento dei due estremi con ogni conseguente difficoltà di realizzazione. A ciò si aggiunga che il film è stato girato – sulle tracce di una ispirazione già dettata da Ermanno Olmi – all’interno di una vera clinica per malati terminali ai quali si somministrano cure palliative. Ci pare che proprio in questa estrema mediazione tra la realtà da una parte, resa riconoscibile nella sua finzione scenica, ma al contempo trasformata e modificata in una accezione tale da rispettare la concezione strutturalmente meditativa – bressoniana si potrebbe dire – risiede la felice intuizione del regista. Da qui (o meglio: con questa) la perfetta consonanza anche tra le scelte attoriali e l’esito del film. In questo, oltre all’insostituibile Paolo Bonacelli e alla brava Laura Pellicciari, anche Francesco Cerutti che interpreta Gabriele. Un giovane attore che si è messo in gioco in questa avventura anche per elaborare il vero lutto per la sorella maggiore. È proprio il personaggio di Gabriele quello che sfida la morte svolgendo il ruolo di antagonista nei confronti di Lucia a diventare centrale nella vita della madre. Nel loro difficile rapporto le ragioni della instabilità, dell’equilibrio precario nel quale vive e che sfocia spesso nelle lacrime. Tra il lavoro con i malati terminali, l’elaborazione del lutto per la figlia e i contrasti duri con il figlio, il personaggio di Lucia è quello che si affida al dio ignoto, ad una figura però che sia terrena e nella quale trovare consolazione. Anche sulla recitazione il lavoro di Bisatti è intervenuto su una progressiva sottrazione alla realtà. Un metodo che peraltro è stato esplicitato nelle sue note di regia. Un lavoro che ha permesso di restituire all’immagine non solo quella necessaria staticità che è diventata modalità dell’argomentare, ma anche forma indispensabile per tradurre con la scena e con l’immagine le originarie finalità dell’operazione. Ne deriva un film intenso e carico di un magnetismo sotterraneo, vera forza vitale, ma oscura, che cattura per la sua efficacia che diventa semplice, ma non semplificata. Il cinema sa trovare queste immediate illuminazioni, sa restituire la complessità di un pensiero, in questo caso il dialogo onnipresente con il proprio non esserci, il definitivo scomparire, il tema dell’estinzione. Ma al contempo la regia di Bisatti sa trovare le immagini, le parole e le inquadrature giuste per mostrare sullo schermo la traduzione di questo pensiero in una accezione alla De Oliveira, ma con gli strumenti visivi di Bergman e Bresson, ma sempre con una autonomia autoriale che non ammette né scopiazzature, né imitazioni, il che rappresenta il migliore modo per dare vita ad un film che pur con queste visibili e nobili ascendenze, sa trovare una sua assoluta originalità nel confronto con lo spettatore più attento e disponibile.

Ma, alla fine resta un dilemma, quale è il dio ignoto al quale l’umano mortale si rivolge? Il film di Bisatti lascia le porte aperte senza caricare la sua storia di elementi religiosi utili ad interpretare il pensiero e a dare risposte alla domanda. Il Dio ignoto nietzschiano resta tale, ignoto anche nella sua invocazione e resta un dio terreno nonostante la sua natura essenzialmente trascendente. L’umanità trascendente di questo ignoto dio nietzschiano lo si coglie negli ultimi versi della poesia recitata nel film in una scena in chiesa, in una specie di parentesi laica e dialettica con il luogo sacro della religione. Gli ultimi versi del componimento recitano: Io voglio conoscerti, o Ignoto, / che afferri la mia anima nel profondo/ che percorri la mia vita come una tempesta, / o inafferrabile, a me affine! / Voglio conoscerti, anzi servirti! In quella affinità voluta e naturale sta la disperazione di quel pensiero, nel non avere la forza e la volontà di partecipare al divino. La dialettica alla quale ci induce il pensiero del filosofo tedesco diventa questione morale nella accettazione della morte per Lucia che non comprende e non accetta la scomparsa della figlia. La frequentazione dell’hospice come luogo di ultimo approdo diventa forma inevitabile per un continuo confronto e consolazione quotidiana nell’accettazione di una continuità. Continuità sottolineata dalle parole di Giulio: arrivederci Lucia. Nel suo film controcorrente Bisatti trova le espressioni corrette per indurci al pensiero e ad una concezione di acquisita semplicità dell’esistenza.

Regia: Rodolfo Bisatti
Interpreti: Paolo Bonacelli, Laura Pellicciari, Krista Posch, Francesco Cerutti
Genere: Drammatico
Origine: Italia/Germania, 2019
Durata: 125’

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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