"Al vertice della tensione" di Phil Alden Robinson

Phil Alden Robinson osa strappare continuamente il giovane Ryan dallo sbocciare di un rapporto sentimentale per affidarlo, in pectore, nel corpo ben più sinuoso della grande famiglia americana in seno al suo esercito. Bieca politica di stampo promozional-patriottico?

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Saremmo stati lieti di assistere, come prometteva il titolo, ad un vero vertice tensionale, ma la realtà dei fatti si è contornata di una "sottile" bava di proselitismo politico, quasi completamente in barba ai precetti della suspense di matrice spy-story. Il film sembra promettere bene, parte sfrecciando a mach 1 (le moderne sceneggiature hollywoodiane lo richiedono) con il fiotto aereo di un soldato israeliano che, presentendo la morte, getta l'ultimo sguardo alla foto della sua compagna proprio mentre una vetta del Golan gli si para davanti. Mai guardare, in momenti così topici, la foto del proprio caro… sembra dirci il regista. Poi invece, bisognerà aspettare il punto di fissione della sceneggiatura a quasi tre quarti di film, lo scoppio dell'ordigno nucleare, prima che la somma di tutte le paure (come dal titolo originale), compresa quella dell'11/9, ridesti per qualche minuto facendo piombare "inaspettatamente" nella caligine del fungo atomico.


Ma per un attimo retrocediamo di qualche centinaio di metri di pellicola e con una sorta di rewind della memoria risucchiamo il fungo nella sua chioccia, riazzeriamo il minimo praticantato spionistico di Jack Ryan e riconsegnamolo nel letto e nelle braccia della sua bella dottoressa. Poiché è da qui in avanti che Phil Alden Robinson strappa continuamente il giovane Ryan dallo sbocciare di un rapporto sentimentale per affidarlo, in pectore, nel corpo ben più sinuoso della grande famiglia americana in seno al suo esercito. Con questi coiti amorosi interrotti, il regista gioca in contrasto con il prologo del soldato israeliano nel quale frappone tra sé e il suo dovere militare la foto della sua compagna e trova il suo meritato contrappasso nella roccia funesta.  Politica di stampo promozional-patriottico? Forse sì, ma ce lo dovevamo aspettare, il nome del bravo Tom Clancy è un marchio di fiducia, un'arma bianca di propaganda politica nelle mani della Cia e della Casa, ancora una volta, Bianca. A conferma di questa tesi nemmeno tanto dissimulata, ci pensa William Cabot (Morgan Freeman) che, dopo la sciagura nucleare e in procinto di tirare le cuoia, si guarda bene dall'informarsi subito sulla situazione dei suoi cari. Lo farà solo dopo aver anteposto, con un alito di voce, la domanda principale per sé, e per un paese tutto: "…il presidente?"


Pensandoci bene però, e mettendo da parte per un momento quella che a noi è sembrata una piccola promozione di stampo governativo, o quanto meno patriottico (in tempi sospetti), Al vertice della tensione staziona sopra la media qualitativa dei blockbuster hollywoodiani. Il merito, ma anche il limite, spetta in parte a Clancy e in parte a Robinson, regista del bello e patriottico L'uomo dei sogni, dal quale sinceramente ci aspettavamo di più.


 


Titolo originale: The Sum of All Fears
Regia: Phil Alden Robison
Sceneggiatura: Paul Attanasio, Daniel Pyne dal romanzo di Tom Clancy
Fotografia: John Lindley
Montaggio: Nicolas De Toth, Neil Travis
Musica: Jerry Goldsmith
Scenografia: Jeannine Claudia Oppewall
Costumi: Marie-Sylvie Deveau
Interpreti: Ben Afflek (Jack Ryan), Morgan Freeman (William Cabot), James Cromwell (Presidente Robert Fowler), Liev Schreiber (John Clark), Bridget Moynahan (Dr. Cathy Muller), Alan Bates (Richard Dressler), Ciaràn Hinds (Presidente Alexander Nemerov), Philip Baker Hall (Ministro della Difesa Becker), Bruce Mc Gill (responsabile della sicurezza nazionale), Jamie Harrold (Dillon)
Produzione: Mace Neufeld per Mace Feuld Productions/Paramount Pictures
Distribuzione: U.I.P.
Durata: 132'


 

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