Aleksei Balabanov: del mostro nell'uomo. Dell'uomo nel mostro

Aleksei Balabanov: del mostro nell'uomo. Dell'uomo nel mostro

Interessato al lato oscuro nel comportamento dell'essere umano, come del resto i più grandi narratori russi, il regista, noto come il cantore dell'era post-sovietica e delle sue ferite, ha fatto un cinema che può intendersi collocato in modo più universale al margine estremo dell'umanità e delle sue contraddizioni. Ricordo del cineasta scomparso lo scorso 18 maggio

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Aleksei Balabanov: del mostro nell'uomo. Dell'uomo nel mostro

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Nei suoi film la letteratura è un punto di partenza importante, e se l'esistenza è cosa insensata, gli esseri umani la cavalcano ai suoi limiti più estremi: Samuel Beckett (Schastlivye dniGiorni felici, del 1991) Franz Kafka (Zamok Il castello, del 1994) e Mikhail Bulgakov: il suggestivo MorfiyMorfina, del 2008, ispirato a Appunti di un giovane medico e scritto da Sergej Bodrov jr., figlio del regista omonimo, attore nei due Brat di Balabanov nel ruolo di Danila Bagrov, in Voyna (War) del 2002, e scomparso all'età di 31 anni in una valanga di neve, mentre si apprestava a girare un film da regista.

Ma anche Wiliam Faulkner, che in un'intervista Balabanov citava come suo scrittore preferito. Più giù, più a fondo nel cuore dell'uomo: e nella sua mortalità).
 

Zamok - Il castello, 1994 - Aleksei Balabanov da Franz KafkaGli adattamenti sono sempre liberi e stralunati, antiaccademici: "Non giro film per gli intellettuali, ma per le persone" ha sempre dichiarato. In realtà è stato accusato delle posizioni più svariate, accolto a volte anche al grido di "fascista". Non sono le idee a rendere interessante il cinema, sostiene, ma la vita stessa a permearlo con i suoi grandi temi declinati in chiave pratica. I dilemmi etici si rivelano direttamente nel male pensato e compiuto.

Rivendica anche una chiave autobiografica – "i miei film sono sempre su di me" – forse riferita al suo sentirsi un eterno outsider. Quando gli si chiedeva di Aleksandr Sokurov, forse il più grande regista russo vivente, rispondeva che il suo nome era sentito ormai quasi come un brand per un pubblico d'élite, al di là del valore delle sue opere.
 

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Brat (Brother, 1999) di Aleksei BalabanovDalle montagne degli Urali alla gavetta come assistente regista e al lavoro come traduttore per l'esercito sovietico, il successo internazionale arriva con l'atipico gangster movie Brat (Brother, 1999) selezionato in concorso al Festival di Cannes. "A tutti piace guardare film di criminali”. Ebbene, i gangster di Balabanov sono sicari quasi per caso, orientati verso un occidente quasi mitologico (come dimostra il secondo Brat (Il fratello grande) del 2000, ambientato negli USA), la musica – punk, rock, new wave – fa da contrappunto alle loro vite (la band Nautilus Pompilius, fondata proprio nella città d'origine di Balabanov, Sverdlovsk, oggi Ekaterinburg).

In Zhmurki (Mosca cieca, del 2005) dirige Nikita Mikhalkov nel ruolo del boss, ma preferisce seguire due scagnozzi improbabili in una parodia dei clichè del genere, in una dark comedy che ha fatto scaturire i paragoni con il cinema di Quentin Tarantino: piuttosto infondati, visto che il dilemma etico o morale interessa molto meno al regista americano: se proprio bisogna fare dei paragoni, sempre con cautela, siamo più dalle parti delle maschere impassibili e incontrollabili di Takeshi Kitano, anche lui autore di un Brother e non a caso spesso citato e apprezzato da Balabanov. Il film successivo è il melò Mne ne bolno (Non mi fa male, del 2006) sempre con Mikhalkov e con Renata Litvinova, musa di Kira Muratova.
 

Pro urodov i liudej (Of freaks and men) 1998 Aleksei BalabanovDi freaks e di uomini, dunque. Pro urodov i liudej (Of freaks and men, del 1998) è una cavalcata satirica tra pornografia e origini del cinema (nel '95 Balabanov aveva già diretto Trofim, un episodio del film collettivo Pribytie poezda L'arrivo del treno, celebrativo di 100 anni di cinema) che esplicita la teoria principale del regista, tutta giocata sulla necessità di scovare la bestialità dell'uomo nelle sue attività più organizzate e codificate. Oggi il primo ministro russo Dmitry Medvedev ha dichiarato pubblicamente che i film di Aleksej Balabanov rappresentano un ritratto del paese nei momenti più drammatici della sua storia, ma nel corso della sua carriera non ha sempre avuto vita facile. Già nel '94 fondò la società STB per garantirsi la massima indipendenza.

Gruz 200 (Cargo 200, 2007) Aleksei BalabanovGruz 200 (Cargo 200, del 2007) ha avuto una lavorazione travagliata. Balabanov aveva scritto la sceneggiatura per Evghenij Mirònov (attore di teatro molto noto in patria) che però rifiutò il ruolo, sentito come troppo controverso. Rifiutò anche Sergei Makovetsky, pur già diretto in Of freaks and men, e il regista dovette ripiegare su attori meno conosciuti. In Russia Cargo 200 ha provocato un forte dibattito, non tanto per il ritratto di un paese allo sbando, quanto per la brutalità di alcune scene. Rifiutata dal Festival di Cannes, la pellicola approdò a Venezia 64, nella sezione Giornate degli Autori (da noi si può recuperare anche in DVD). Cargo 200 condensa in sè molti aspetti della poetica di Balabanov. La linea sottile tra uomo e mostro è tracciata a mano, è una cosa tremolante, pronta a rivelarsi ad ogni istante, e se spesso ha a che fare col potere, in fondo sembra una caratteristica innata: tanto vale mostrarla interamente, toccando il limite della rappresentabilità dell'orrore. "È orrendo come la morte. Semplicemente geniale". Così definì il film il regista e attore Andrey Smirnov.

Morfiy (Morfina, 2008, di Aleksei Balabanov) ispirato ai racconti di Mikhail BulgakovE come per la rappresentazione della morte, non deve esserci compiacimento: quando sta per caderci dentro, quando avverte il rischio, Balabanov alza la posta e per contrasto, mentre la ragazza incatenata al letto al cadavere del suo amante – già reso cadavere da una guerra non  meno sadica del sadico villain del film – non riesce più nemmeno ad articolare parole comprensibili, ci mostra la grottesca indifferenza di una vecchia inebetita davanti alla televisione, strappandoci quasi un sorriso angosciato.

Anche Morfina mostra il corpo umano in tutta la sua vulnerabilità, ma come in un'autopsia, il corpo mortale – morente, tumefatto, e poi sezionato e indagato – non cerca il nostro voyeurismo, né la nostra pietà: è un dato di fatto come gli elementi della natura. Il paesaggio, quello naturale e quello spesso mostruoso edificato dall'uomo, è un controcanto muto alle sue malattie e alle sue speranze.
 

Ya tozhe hochu (Me Too, 2012) Aleksei BalabanovI film successivi sono Kochegar (A Stoker, del 2010) ritratto agghiacciante di un anziano fochista (Mikhail Skryabin) veterano di guerra caduto in disgrazia, che nella sua fornace brucia anche corpi umani, e Ya tozhe hochu (Me Too, del 2012), ospite a Rotterdam 40 e Venezia 69, cavalcata satirica che vede come protagonisti un manipolo di sbandati – un gangster, suo padre, un ex ufficiale dell'esercito, un punk rocker una ex prostituta – coinvolti in un apocalittico viaggio esistenziale alla ricerca della felicità che insieme omaggia e si prende gioco di uno dei capolavori di Andrej Tarkosvkji, Stalker.
 

Aleksei Balabanov ha lasciato incompiuto il suo ultimo progetto, sulla vita del giovane Stalin. Nato il il 25 febbraio 1959, è morto il 18 maggio 2013 a 54 anni, per un infarto: nello stesso anno in cui è scomparso un altro grande regista russo fieramente indipendente, amico e estimatore di Balabanov, Aleksei German.

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