All Our Fears, di Łukasz Ronduda e Łukasz Gutt

Tratto dalla storia vera dell’attivista polacco Daniel Rycharski, il film è passato a Milano all’appena conclusa 36esima edizione del MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer

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Per raccontare un paese e descriverlo in maniera credibile bisogna saper guardare nel profondo. La Polonia di questi anni è uno Stato in piena crisi di identità, governato in maniera autoritaria, e con una presenza religiosa sempre fortissima. Una tradizione che si scontra con le dinamiche secolari, soprattutto riguardo temi come l’aborto o la sessualità. Il film di Łukasz Ronduda e Łukasz Gutt racconta di una lotta, quella di Daniel Rycharski, artista, attivista e fervente cattolico, diventato un’icona dei diritti LGBTQ per il coraggio mostrato a sfidare le abitudini e le condanne di una piccola comunità rurale. Ma specchio fedele di un problema di intolleranza diffuso dappertutto in Polonia, basti ricordare il dato angosciante dei suicidi tra gli adolescenti non sessualmente omologati in continuo aumento. Il regista punta a svelare l’ipocrisia attraverso le contraddizioni in seno ad un mondo che si vorrebbe testimonial di amore e libertà, per poi assumere atteggiamenti omertosi, chino ai comandi di una disciplina disposta ad accettare eccezioni, a patto siano mascherate di inconsapevolezza.

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La battaglia si muove su una linea di galleggiamento sacrale ai margini di una blasfemia attenuata, usa il rituale della preghiera come piano di confronto di una stessa fede, divisa nel momento di superare una crisi. Gli stessi simboli sembrano suscitare reazioni contrastanti e scavare dei fossati invece di appianare il terreno. La straordinaria attualità dei temi risalta, inserita dentro uno scenario desueto di provincia, dentro le sue ignoranze, dentro quei panorami che assomigliano allo scrigno di un tesoro antico osservato in campo lunghissimo. Viene da pensare a Bruno Dumont e la gioventù irrequieta della campagna francese. Un quadro di solitudine, di isolamento, necessario per far sbocciare un segreto, ed esaltare i legami travolti dalle avversità. La storia del protagonista, che abita con la nonna, altra figura di eccezionale carattere, è un grido di rivendicazione, in ricordo delle vittime di un trattamento insensibile, uccise dall’indifferenza. Colpevoli soltanto di un innocuo sentimento d’amore. Le vicende raccontate sullo schermo ricostruiscono quanto nella realtà è accaduto dopo un avvenimento luttuoso. Può essere un atto d’accusa, diretto, sincero, interessato ad affiancare il diverso, non ad incensare o assolvere chicchessia, quanto piuttosto a restituire un clima perlopiù antipatico. Pieno di gesti di odio gratuito, di ostilità, sotto lo scudo protettivo di un’ideologia disposta a perdonare tutto. Durante lo svolgimento della tragedia le crepe sono evidenti, e il dubbio seminato dal dolore trova infine la forza di interrogarsi, dopo aver reagito in maniera istintiva e violenta. Vincitore del Polish Film Festival, il film assume rilevanza politica in un’era dominata sempre più dall’oscurantismo.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
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