"Alla luce del sole", di Roberto Faenza

E' proprio l'eccesso di lealtà dello stile registico di Faenza a far naufragare il desiderio "civile" del suo film. Una voglia irrefrenabile di raccontare la verità, nient'altro che la verità, con un mix di verismo, appunto, e di pathos che avvolge e soffoca ogni respiro vitale dell'azione

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Per definire Alla luce del sole, l'ultimo film diretto da Roberto Faenza (Prendimi l'anima, Jona che visse nella balena) probabilmente bastano due aggettivi: "civile" e "leale". Due termini che segnano indelebilmente il percorso storico di molte pellicole di un certo cinema italiano intriso di verismo – non realismo, si badi bene, ma solo verismo… – e di esasperata attenzione ad episodi di storia o di cronaca.

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D'altronde, sul cosiddetto impegno civile di una pellicola che decide di raccontare la tragica vicenda di Don Pino Puglisi, il prete antimafia di Palermo assassinato nel 1993, non vi sono dubbi; così come è impossibile non percepire la voglia di denuncia sociale che traspare da tutte queste inquadrature affogate nel quartiere Brancaccio del capoluogo siciliano, aggrappate ai visi dei protagonisti ed ai vicoli di una realtà in lenta disgregazione visiva ed emozionale. Una lunga serie di sequenze che sembrano quasi dettate da un dovere civico, da un'intenzione morale di utilizzare lo strumento filmico per urlare e sottolineare ciò che la storia più recente ha voluto dimenticare troppo in fretta. Fin qui alcuni dei possibili significati racchiusi nell'intensione dell'aggettivo "civile" riferito ad un film come Alla luce del sole.


Ben diversa, purtroppo, la sfera di possibili sensi che si annida nella semantica di un termine, solo apparentemente positivo, come "leale". Già, perché è proprio l'eccesso di lealtà dello stile registico di Faenza a far naufragare il desiderio "civile" del suo film. Una voglia irrefrenabile di raccontare la verità, nient'altro che la verità, con un mix di verismo, appunto, e di pathos che avvolge e soffoca ogni respiro vitale dell'azione. Là dove un grande autore, o anche solo un regista un po' più responsabile, avrebbe tradito "slealmente" la verità della storia costruendo una realtà di celluloide consapevole e orientata da un unico punto di vista, Faenza filma la banalità di una cronaca che sembra procedere per inerzia e sterili virtuosismi. Nessuna potenza del falso in questo film stretto fra luoghi e spazi inabitabili per qualsiasi occhio cinematografico, avari di emozioni perché sempre smisurati, trasfigurati da una macchina da presa ansiosa di stabilire inopportune complicità con la pelle dello spettatore. Così, alla fine, nella trappola della "lealtà civile", ma non cinematografica, finiscono per precipitare anche i corpi di un pur bravo Luca Zingaretti, di Francesco Foti e di un Corrado Fortuna sincero ma decisamente fuori parte.


 


 


Regia: Roberto Faenza


Interpreti: Luca Zingaretti, Corrado Fortuna, Francesco Foti, Giovanna Bozzolo, Alessia Gora.


Distribuzione: Mikado


Durata: 100'


Origine: Italia, 2004.

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