All'ombra della cattiva coscienza – "Unfaithful" di Adrian Lyne

Adrian Lyne rifà “La femme infedele” di Chabrol in un dramma psicologico che riscrive il cinismo in ironia antiborghese, con un Richard Gere intelligentissimo e una Diane Lane eroticamente dismessa

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Questa volta prende Chabrol – "La femme infidele", 1969 – e la riscrive sulla pelle dell'America di buona coscienza senza dimenticare, naturalmente, di essere un europeo… Adrian Lyne lo avevamo lasciato cinque anni fa tra le pagine di "Lolita", altro remake imprudente che gli aveva procurato le ire dei sacerdoti kubrickiani: c'è da giurare che con "Unfaithful" non gli andrà meglio e si beccherà le mazzate di chi non accetta il gioco impuro di questo regista.
Sullo schermo un sempre più intelligente Richard Gere, il quale osa tornare sul luogo del delitto che già lo aveva visto protagonista ad di un altro assolutamente incompreso eppure bellissimo remake hollywoodiano di matrice francese – nientemeno che il Godard di "A bout de soufle" rifatto dal grande Jim McBride – affiancato da una Diane Lane eroticamente affilata sulla mola di una quotidianità tutta casa, figlio e marito, e pronta ad esplodere nel letto dell'amante francese che una giornata di vento le mette tra le braccia. Lui, l'uomo del destino, è il parigino Olivier Martinez (lo ricordiamo in "Before Night Falls"), icona bohemienne in trasferta newyorkese, venditore di libri antichi e amante a tempo pieno.
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Unfaithful

Il triangolo è questo e circoscrive il patto di fiducia infranta che alimenta questo dramma psicologico che per Chabrol, naturalmente, era palestra di immancabile cinismo, e che Adrian Lyne ribalta in un'(auto)ironia sottilissima, quasi trasparente, di fronte alla quale c'è da scommettere che il pubblico e anche la critica saranno come sempre impreparati (è già successo qui al 37.mo Karlovy Vary International Film Festival, dove il film è stato più deriso che applaudito…). Ecco dunque che la dolce famiglia borghese che vive fuori New York si ritrova nel sottaciuto caos di un tradimento finito in tragedia di sangue: lei proprio non resiste alla bellezza del francese, gli si offre prima restia poi volgiosa e copiosa; il marito sospetta, poi una mezza parola di un dipendente che ha licenziato nel nome della lealtà tradita lo mette sulla strada. E allora si affida a un detective privato, che classicamente pedina la moglie, scatta le solite foto e le mostra al poveraccio, il quale non crede ai suoi occhi ma reagisce con dignità… Lei intanto ha deciso di smettere, di tornare a fare la mamma e la moglie, e per giunta ha scoperto che il francese colleziona amanti e lei non è la sola…


E qui scoppia la tragedia, ma non per mano di lei, bensì per mano del marito. Il quale, sconvolto ma calmo, si presenta a casa del francese, gli chiede perchè e come e, seduto sul talamo del tradimento, perde il controllo e lo uccide, occultandone il cadavere in una discarica… La polizia indaga, sospetta della moglie, che però non sospetta del marito… Almeno sino a quando non scopre nel suo impermeabile le foto che la incolpavano e capisce tutto, dando inizio a quella tragedia del complice silenzio nel quale marcisce ogni buon sentimento della familiola perbene, imprigionata nel delitto impunito che sigilla la loro unione: bloccata sul limite della propia coscienza in un finale che (omaggio in chiave ribaltata al grandissimo Clint Eastwood dei "Ponti di Madison County"?) vede i due in macchina fermi a un semaforo davanti alla stazione di polizia, il bambino che dorme sul sedile di dietro e loro paralizzati nella colpa sottaciuta…


UnfaithfulIl dramma psicologico, insomma, viene lasciato decantare nella sua versione morale, mentre Adrian Lyne non rinuncia a mettere in gioco le sue prerogative: intelligentissimo nel manipolare i suoi personaggi come fossero burattini in bilico sulle loro azioni; sarcastico nel descrivere la noia della vita familiare, l'ordine borghese che impera negli abiti, negli oggetti domestici, nei soprammobili, persino sul volto del figlio, ragazzino tutto smorfie simpatiche e carinerie insopportabili… Ed è intelligentissimo anche Richard Gere nell'offrirsi generosamente a un ruolo che lo vede appassito, persino rifiutato dalla moglie quando le si offre nella vasca da bagno citando implicitamente l'Edward Lewis di "Pretty Woman"… Infine ridicolo e pavido come assassino (geniale la gag che lo vede bloccato nell'ascensore col cadavere del rivale avvolto nel classico tappeto…). Tutto un gioco di aggiustamenti progressivi che conferma in Adrian Lyne un autore sottilissimo, ancora capace di affondare la lama nell'ordine sociale come ai tempi di "Flashdance" e "Nove settimane e mezzo". Giocando ancora con lo specchio dell'immagine che ribalta il potere della realtà e la materializza nell'opposto sentire di un sogno/incubo al termine del quale niente è più come prima.
Basti pensare al ruolo che in "Unfaithful" hanno le immagini: dalla telecamera che riprende l'unico quasi-amplesso tra Gere e Diane Lane all'inizio, alle foto scattate dal detective, alla maniera – bellissima! – in cui la prima volta di Connie e il suo amante viene mostrata, tutta nei ricordi di lei montati in rapidissimi flashback sospesi sul rimorso e sul piacere, come lampi immaginifici pregni gli emozioni… Quasi un teorema del gioco perpetuo con il potere delle immagini di un regista al quale – non dimentichiamolo – si deve anche un film come "Allucinazione perversa"…

 

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