Alps, di Yorgos Lanthimos

Ritorna in sala questo film del regista di “The Lobster”: il suo stile calcolatore e arido mostra invece tutta la brutalità del mondo in cui viviamo

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Ritorna in sala questo film del regista di “The Lobster”: il suo stile calcolatore e arido mostra invece tutta la brutalità del mondo in cui viviamo

Come le istantanee di un party in cui tutti sono ubriachi e hanno mollato gli ormeggi a volte rivelano una verità fatale in un angolo dell’inquadratura, così il cinema di Lanthimos, fatto di gag, gesti meccanici e paradossi (la fissazione generale per il nome dell’attore preferito, i dialoghi incongruenti con le espressioni del viso) dentro alle apparenti stranezze, racconta il mondo contemporaneo. L’enfasi è proibita (l’incipit con i Carmina Burana) perchè nel quotidiano non c’è pathos, solo la consolazione della risata in superficie (il finale con Popcorn di Aphex Twin).

Le “Alpi” è il nome che un Paramedico (Aris Servetalis, un omino psicotico con la stoffa del leader) ha scelto per una sorta di compagnia teatrale improvvisata. I suoi membri sono il Coach (Johnny Vekris – un sadico travestito da bullo di quartiere invecchiato) la Ginnasta (una meravigliosa Ariane Labed, una pedina nervosa nelle sue mani, dentro emotiva, fuori una corazza da marionetta indifferente – era già in Attenberg, di cui Alpis è quasi il gemello) e l’Infermiera (altrettanto meravigliosa, Aggeliki Papoulia di Kynodontas). Si viene assunti per occupare temporaneamente quello spazio fisico che la morte di qualcuno ha lasciato all’interno di una famiglia e si interpretano copioni che in fondo sono le stesse rappresentazioni dozzinali che si chiedono a una puttana: solo che invece del classico “spogliati e toccati” abbiamo il “mangiati le unghie” di un padre che tenta di far rivivere la figlia, la piccola tennista sedicenne.

L’assenza di chi ci manca si fa sentire per inezie, cose minuscole che prima generavano contrarietà (sorprendere la propria figlia in camera con un ragazzo e la migliore amica a letto con il marito) o abitudini consolatorie (lo stesso barbiere di tutta una vita, che riesce a tagliare perfettamente le basette). Poi ci coglie un certo smarrimento: e se il contatto fisico con un corpo così diverso da quello che conoscevamo, con un viso e una voce così palesemente differenti, non finisse per sembrarci più reale proprio attraverso la simulazione? L’Infermiera interpreta un’amante morta, deve simularne il piacere e le discutibili esternazioni da romanzo rosa. Eppure, dopo un po’, la sua voce si spezza veramente…“Una volta riuniti tutti i sensi, sorge l’anima. C’era da aspettarselo.” concludeva Bioy Casares nell’Invenzione di Morel. Ecco, Alps ha almeno il dono, a conti fatti, di riportare a galla le ossessioni personali di chi sta dall’altro lato dello schermo, ed ecco la mia: la riproduzione fedele, la registrazione, l’apparenza: è davvero possibile distinguerle da un originale? Forse quella che a qualcuno piace chiamare anima non è che la proiezione a intervalli ripetuti di un profumo, di una voce, di un modo di muovere la testa, una risata, una particella di calore, conclude l’isolano di Morel, perduto per sempre nella visione di Faustine.

La spinta non è solo il denaro: Lanthimos è molto più cinico di così. Se nella prima metà del film sorge il sospetto che il suo stile stia diventando troppo calcolatore e arido, nella seconda, mostra in tutta la sua brutalità la natura orrorifica del mondo in cui viviamo. Per la Nurse (e probabilmente anche per gli altri membri di Alpis) queste prestazioni sono l’unico modo di riempire un vuoto e nel momento in cui vengono rifiutate, mostrano la faccia sporca della dipendenza (proprio addiction) l’esplosione di una solitudine così potente da potersi colmare solo diventando qualcun altro, chiunque altro. L’Infermiera tenta di entrare come un virus, in una successione agghiacciante, in qualunque vita, cerca di essere qualunque cosa – la fidanzata morta in macchina, la propria madre, l’anziana compagna di ballo e l’amante di suo padre – sempre che il papà che l’abbiamo vista accudire sia suo padre, e non un altro cliente, in un gioco di trappole crudeli…

Il sorriso della ginnasta nel finale, quando ha finalmente ottenuto la sua canzone più pop su cui allenarsi: qualcuno potrebbe sostenere che è una specie di Pinocchio trasformato in bambino vero, e sta ripetendo la sua frase da burattino “sei il miglior allenatore del mondo”, ma finalmente, con un’espressività, con un impulso sincero di gioia. Però il suo sorriso un po’ folle potrebbe essere semplicemente la migliore delle sue interpretazioni: la Ginnasta che per un attimo si è vista prendere corpo, da ologramma diventare invincibile, tangibile, terrena. Immagina la sensazione: finalmente, esistere! Una simulazione particolarmente interessante, perché la Ginnasta sta effettuando una prestazione per se stessa. Un’illusione particolarmente dolorosa, perché finirà al prossimo pezzo in cui non si riconosce e torna trasparente. Ma fino a quando? A fuoco, fuori fuoco…

 

Titolo originale: Alpis
Regia: Yorgos Lanthimos
Interpreti: Ariane Labed, Aggeliki Papoulia, Aris Servetalis, Johnny Vekris
Distribuzione: Phoenix International Film
Durata: 93′
Origine: Grecia, 2011

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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