Altavoce, di Massimiliano Russo

Tra il thriller psicologico e la ricerca di una profonda analisi esistenziale. Tutto affascinante, ma poco stimolante, ingarbugliato, contorto e paradossalmente semplificato.

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Altavoce racconta quattro storie, che trattano diversi tipi di violenza: violenza affettiva, violenza sul lavoro, violenza di genere e violenza razziale. Apparentemente dissimili tra loro, sono legate nella trama del thriller psicologico meta-cinematografico, che mostra come siano unite dalla stessa matrice esistenziale. In un lussuoso palazzo ottocentesco quattro persone si ritrovano imbavagliate e vestite con abiti d’epoca. Non sanno cosa sia successo, sono visivamente frastornate e incredule. Ad un certo punto una voce fuori campo “decide” di cambiare ambientazione e storie. I protagonisti vengono così catapultati nel mondo contemporaneo in cui ognuno di loro si ritrova in un contesto diverso: una donna fa la cameriera ed è vittima di uno stalker; un’altra donna incappa nel giro della prostituzione; un uomo fa il poliziotto ed è costretto ad assistere ai soprusi dei suoi colleghi; l’ultimo dei protagonisti è segnato invece dalla dipendenza dalla droga. Potrebbe sembrare una raffinata rielaborazione metalinguistica fatta di scenari ed evocazioni stilistiche affascinanti e convincenti. In realtà il risultato finale non è definitivamente convincente, soprattutto nell’amalgamare le storie raccontate atte ad imbastire un quadro esistenziale della realtà che ci sovrasta. Troppo carico di intellettualismi a volte fini a se stessi e mai davvero coinvolgenti.

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È sempre la solita ricetta: raccontare il ruolo dell’autore in rapporto alla sua creatività, alla sua creazione. Il mistero potenziale si perde però velocemente nell’eccessiva verbosità e nella ricerca dell’effetto di maniera. C’è una certa compiacenza che traspare nelle parole e nelle immagini, come fosse tutto a ruotare sulla giostra dell’esibizionismo sfrontato. Non manca certo la mano esperta del regista, Massimiliano Russo, autore nel 2017 di Transfert, che d’altronde si trova inequivocabilmente nel “cul de sac” del soliloquio, del dialogo interiore, troppo spesso impalpabile e reso inesorabilmente innocuo. Non è chiaro se si tratta poi di un manifesto su quattro storie che convogliano in una sola, la stessa ed emblematica storia della realtà avvolta nella finzione, o viceversa, è la storia dell’umanità, unica e sola che si racconta dalla notte dei tempi, a ramificarsi nelle storie che ci raccontiamo e che in fondo non sono mai uniche come ci piace credere. Resta l’amaro in bocca, a prescindere, perché tutto si fa troppo ingarbugliato, contorto e paradossalmente semplificato. È la meccanica dei gesti, la meccanica dei corpi a svilire l’anima nascosta e mai totalmente mostrata (come gli amplessi evocati e provocati da una delle protagoniste…) da questo sguardo “distratto” dall’astratto.

 

Regia: Massimiliano Russo
Interpreti: Paola Roccuzzo, Monique Cynthia Brown, Nicola Diodati, Luis Renzi, Sean Cronin, Massimiliano Russo, Valeria Nicotra
Distribuzione: Change of (He)art
Durata: 81’
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
3.5 (2 voti)
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