Altura, di Mario Sequi

In fondo la Sardegna è la terra più ad occidente d’Italia, non è quindi del tutto arbitrario ambientare in quella regione un melodramma western come Altura

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

In fondo la Sardegna è la terra più ad occidente d’Italia, non è quindi del tutto arbitrario ambientare in quella regione, i cui scenari conservano ancora una selvaggia consistenza, un melodramma western come Altura che il cagliaritano Mario Sequi ha girato nel 1949 e che oggi, a cura di una cordata di enti e associazioni: il Centro Sperimentale di Cinematografia – Cineteca Nazionale e l’associazione dei sardi a Roma “Il Gremio”, e grazie alla collaborazione di Broadmedia Service, che ha fornito il negativo, rivede la luce con un restauro quanto mai opportuno in termini di recupero dell’opera in se, ma anche come esempio di un cinema, minore per forza produttiva e sua successiva diffusione in sala, ma pur sempre efficace sotto il profilo di una conclamata varietà del nostro patrimonio cinematografico.
Come accade in altre non frequenti occasioni, Altura è un film fortemente caratterizzato in termini regionali. Sono i luoghi dalla cultura identitaria molto forte, che godono di una autoctona cultura in grado di imporsi come alternativa su quella nazionale, a generare questo tipo di corto circuiti. La Sardegna appartiene sicuramente a quelle regioni in cui l’isolamento geografico ha consentito una bassa contaminazione delle radici del proprio patrimonio culturale che si esprime, innanzi tutto nella lingua, profilo che purtroppo in questo film è del tutto trascurato, ma che avrebbe arricchito il sostrato dal quale è nato. Il film è stato interamente girato in Gallura e dopo il restauro, nello scorso anno, finora è stato proiettato al Sardinia Film Festival  e al Creuza de ma Festival tra musica e cinema che si svolge a Cagliari.
Western e melodramma si intrecciano tra le rocce di Altura, quando Stanis Achena (Massimo Girotti) torna al paese dopo quasi dieci anni di assenza. Ritroverà Grazia (Eleonora Rossi Drago) il suo amore giovanile e troverà il paese in mano ad Efisio Barra (Roldano Lupi) che da signorotto locale affama i compaesani pagando il loro latte a basso prezzo e insidia la bella Grazia. L’arrivo di Stanis sarà decisivo per il futuro di Altura.
Il film rispetta i tempi e le coordinate di genere, non uscendo mai dai suoi canoni narrativi, ma arricchendo la matrice western con tratti di musiche e danze sarde in occasione del mancato fidanzamento tra il signorotto Barra e Grazia. Altura, come si è detto, è un cinema essenzialmente regionale e non a caso è pubblicizzato come il primo film del dopoguerra interamente girato in Sardegna. Ma questo nulla toglie alla sua nazionalità che si radica in quella cinematografia italiana dell’epoca che ad un certo enfatico procedere di un eroismo connaturato dalla purezza del personaggio, in questo caso di Stanis, contrappone le malefatte del cattivo, impunito e grassatore.
Altura quindi, pur senza proporre grandi novità, ha saputo farsi apprezzare da un vasto pubblico, quello stesso che nel secondo dopoguerra cercava, anche nel cinema, la speranza di una ricostruzione e la via per il consolidarsi di quelle diffuse idee di uguaglianza e libertà che in luoghi remoti, come la pastorale Sardegna dell’epoca, arrivavano con maggiore difficoltà. Si fa apprezzare per un ritmo che sa essere serrato nella sua breve durata di poco meno di 80 minuti e per il suo lavoro, artigianale sicuramente, ma attento, sugli scenari naturali e, nella parte finale, per un inseguimento e una sparatoria tra le rocce che ricorda i bmovie americani. Esempio, quindi, notevole di cinema popolare che sicuramente affollava le improvvisate arene estive nelle piazze dei paesi, dove trovavano posto gli spettatori con le sedie di rafia portate da casa e che sicuramente con la sua storia passionale e quell’aria di vendetta contro la cattiveria, avrà strappato applausi e commenti anche osceni. La purezza delle intenzioni e la semplicità della morale, che passava attraverso questi film, contribuiva a creare le coscienze in un’epoca di scarsa comunicazione e di diffuso analfabetismo, peraltro sottolineato nel film. Da non trascurare quindi quell’appeal sociale che Altura e i film dell’epoca simili, avevano sul pubblico. Questo si realizzava attraverso la narrazione di storie nelle quali il riconoscimento era immediato e l’immedesimazione, diventava transfert amoroso, realizzando quella immediata instaurazione della comunicazione tra il film, i suoi personaggi, la storia da una parte e gli spettatori dall’altra. Da qui il cinema come suprema e insuperabile arte popolare.
Nel trionfo finale della giustizia, tanto annunciato da tranquillizzare lo spettatore, ritroviamo anche l’esito felicemente necessario del melodramma per un cinema che non poteva, nel rispetto rigoroso delle regole che avevano come principio ispiratore quello della felicità dello spettatore, avere altro finale se non quello della promessa tacita di un amore eterno e inossidabile.

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Regia: Mario Sequi
Interpreti: Massimo Girotti, Eleonora Rossi Drago, Roldano Lupi, Anna Maria Bottini
Distribuzione: Indipendenti Regionali Italiani
Durata: 79’
Origine: Italia, 1949

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

Sending
Il voto dei lettori
0 (0 voti)
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array