"Amabili resti", di P. Jackson

Amabili Resti, Peter Jackson
Allo sguardo prima, alla memoria poi. Amabili resti potrebbe somigliare, a prima vista, a un horror soprannaturale. Ma questa definizione è riduttiva per un'opera incontrollata, irregolare, immensa come quella di Jackson, che arriva negli anni '70 non con la testa ma attraverso un viaggio mentale che riaccende attraverso le sue luci, i suoi colori, che ridipinge sensorialmente. Tra film favolistico, teenager-movie, in dis/equilibrio tra dolore e violenza, tra disperazione e riconciliazione

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Amabili resti di Peter JacksonForse un film come Amabili resti ha più il sapore della sfida rispetto alla trilogia di Il signore degli anelli o King Kong. Forse perché in quel caso c'era già un immaginario pre/costruito (Tolkien, Schoedsack e Cooper) da rivoltare, da reinventare con uno sguardo anche riconoscibilissimo nel suo stupore spielberghiano con cui si aprono nuovi mondi e vengono sfalsate le prospettive normali. Nel caso di Amabili resti, oltre al romanzo omonimo di Alice Sebold che è stato un caso letterario nel 2002, sembrano esserci invece solo dei residui di un periodo, l'inizio degli anni '70, su cui alimentarci intorno questo flusso visionario grandioso e incontrollato, volutamente sempre fuori le righe nel dare forma al sogno, all'aldilà, alla materializzazione di un corpo diventato inconsistente come quello della quattordicenne Susie, uccisa da un misterioso assassino che ne ha fatto sparire i resti. E a quel punto la ragazzina è sospesa tra la voglia di vendetta e l'impellenza invece di sorvegliare sulla propria famiglia. Forse è proprio nel suo squilibrio uno dei motivi di maggiore seduzione di Amabili resti, in questa continua metamorfosi di un film che cambia velocità, ritmo, che passa inizialmente da una ricostruzione d'epoca a una dimensione che disperde ogni connotazione temporale, con luci edeniche accecanti e spazi confinati in cui non c'è più, oppure non c'è mai stato, il confine tra la vita e la morte. In un certo senso la pellicola del regista che può idealmente essere più vicina a questa è Creature del cielo. Anche in quel caso, l'ambientazione (la Nuova Zelanda del 1953) diventa solo una cornice esteriore all'interno della quale frantumare ogni connotazione realistica per entrare quasi in un universo fulleriano di follia pura, con le due protagoniste e le azioni che diventano sempre più sfuggevoli. Allo sguardo prima, alla memoria poi. Amabili resti potrebbe somigliare, a prima vista, a un horror soprannaturale. Ma questa definizione è riduttiva per un'opera incontrollata, irregolare, immensa come quella di Jackson. Per certi aspetti nel film entrano gli sguardi favolistici di "Cappuccetto rosso" (Susie che entra nella casa di quello che diventerà il suo assassino), tracce da teenager-movie (i giochi di sguardi tra la protagonista e il ragazzo che doveva incontrare per un appuntamento) che diventa sublime in quell'attimo di sospensione del bacio mancato. Jackson arriva negli anni '70 non con la testa ma attraverso un viaggio mentale che riaccende attraverso le sue luci, i suoi colori, che ridipinge sensorialmente e poi gli crea movimento in modo ancora più estremo di come ha fatto Ang Lee nel suo film più bello, Tempesta di ghiaccio.

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Ma in Amabili resti c'è anche quell'emozionalità che si congela, si riscalda e può restare sospesa a lungo come in Peter Weir (la dimensione da thriller fantastico, la scomparsa come assenza può farlo anche avvicinare a Picnic ad Hanging Rock) oppure quei lampi da melodramma dell'aldilà del cinema di Dieterle, dove una straordinaria Sairse Ronan perde consistenza come Jennifer Jones in Il ritratto di Jennie ed è forse per questo che diventa immortale e sembra danzare fuori dalla vita come nello splendido finale. Il film possiede anche più livelli di tensione, da quella serratissima evidente nella scena in cui la sorella di Susie si introduce nell'abitazione dell'assassino a quella della famiglia che è in attesa di Susie in cui l'iniziale preoccupazione si trasforma in angoscia. Jackson sa rendere emozionante anche un dettaglio più insignificante (l'avanzamento della cassa dove è nascosto il cadavere) dove anche il solo rumore riesce ad entrare dentro il cervello e non uscire più. Senza contare l'attraente dis/equilibrio tra dolore e violenza, tra disperazione e riconciliazione; già la vicenda dei genitori di Susie (Mark Wahlberg che da un'altra prova dell'incredibile inafferrabilità dei suoi personaggi che contrasta con quella magnetica dell'assassino di un bravissimo Stanley Tucci) potrebbe essere un'altra storia. Fiabesca, da kolossal o intima. Fa lo stesso, fate voi. Basta ci sia ancora dietro Peter Jackson. 

Titolo originale: The Lovely Bones
Regia: Peter Jackson

Interpreti: Saoirse Ronan, Stanley Tucci, Mark Wahlberg, Susan Sarandon, Rachel Weisz
Distribuzione: Universal
Durata: 135'
Origine: USA, UK, Nuova Zelanda, 2010


 

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    2 commenti

    • film ingenuo e piuttosto miope…ma l'assassino quando muore incontrerà la sua vittima? o andrà all'inferno?

    • Sul film “Amabili resti”
      PESSIMO. Perché pessimo? Si salva solo il titolo ma questo "Amabili resti" meriterebbe ancora meno per le occasioni mancate. Questi americani giocano con i soldi e ci propinano i loro giocattoli. Pare (io non l'ho letto) che il romanzo sia molto più forte e crudo e che invece Jackson abbia voluto attenuare e rendere più delicato il tutto ma… con quali risultati? Io l'ho trovato noioso e troppo lungo, prolisso, pieno di stereotipi, furbetto, inutilmente descrittivo come quasi tutti i film americani. Scritto per "bambinoni mai cresciuti" quali essi sono.
      E veniamo alle cose serie.
      Tutta la parte del sogno, del paradiso, dei bimbi innocenti votati al martirio, dei cartoni animati per intenderci, non serve a nessuno che abbia un minimo di intelligenza. La nostra immaginazione sa fare molto meglio e lì il regista che ci sa fare riesce a darci, se vuole e se può naturalmente, le giuste dritte perché le nostre emozioni ricreino quel …