American Primeval, di Peter Berg

Sei puntate, create da Mark L. Smith e dirette dal regista di Lone Survivor, visionarie e violente come una magnifica sinfonia hard rock. Tra le “cose” migliori prodotte da Netflix negli ultimi anni


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Gangs of United States. Poco oltre la metà del XIX secolo, tra Utah e Arizona, tante “anime” e popoli diversi si ammazzano tra loro per rivendicare il loro pezzo di terra, la loro “nascita di una nazione”: i nativi indiani, l’esercito degli Stati Uniti d’America, i mercenari, i mormoni comandati dal loro demoniaco leader Brigham Young e pronti a tutto pur di costruire uno Stato indipendente voluto da Dio. Ad attraversare questo paesaggio di abbacinante wilderness e violenza, una donna e un bambino, misteriosamente in fuga da Philadelphia verso una nuova vita ad Ovest. Sara Holloway (Betty Gilpin, già perfetta protagonista di The Hunt) e il piccolo Devin sono i vettori emotivi e narrativi di un western ruvido, perfettamente incarnato dalla loro guida, il tormentato anti-eroe Isaac Reed, interpretato da uno straordinario Taylor Kitsch. Pieno zeppo di personaggi, eroine femminili all’altezza e caratteristi straordinari (su tutti Shea Wigham nel ruolo del sornione proprietario di Fort Bridge) American Primeval non ha tanto l’ambizione del grande racconto e dell’epopea, quanto l’irruenza di una sinfonia hard rock senza veri e propri vincitori morali. Procede rapida e spedita come le frecce indiane provenienti dal fuoricampo che tagliano lo schermo e i corpi dello loro vittime.

Primeval sta per primordiale. E per mettere in scena questa miniserie Netflix di sei episodi, creata dal Mark L. Smith di Twisters e soprattutto The Revenant, non poteva esserci regista migliore di Peter Berg, straordinario autore in “materia” di action viscerali e survivors stories (se The Kingdom e Lone Survivor non sono dei capolavori, beh insomma, ci vanno molto vicino). Proprio come il film diretto da Alejandro G. Iñárritu, American Primeval si articola come un viaggio “sospeso nel tempo del western”, tra iperrealismo, macchina a spalla, sospensioni poetiche e vorticosi piani sequenza dentro i campi di battaglia. Una messa in scena di puro istinto, che si immerge tanto nel sangue e nella violenza barbarica, quanto nella contemplazione metafisica e ieratica della natura americana (ancora The Revenant, ovviamente, ma perché no, anche un Cancelli del cielo aggiornato ai ritmi e ai muscoli della serialità). Alla base c’è quello che Griffith, Ford, e poi Milius, Cimino e Pechinpah dicono da sempre: l’America si fonda nel sangue, nella morte e nella “sua” esperienza percettiva e visiva. Un’allucinazione assassina, quindi, ancor prima che un “sogno americano”. In American Primeval si sopravvive o si crepa. Non c’è un’altra via. E Peter Berg, caduto un po’ in sordina negli ultimissimi anni dentro gli “equilibri” politicamente corretti della Hollywood contemporanea, non aspettava altro per rispolverare il suo efficace formalismo e liberare la sua cruda “versione” del mito western. Tra le “cose” migliori prodotte da Netflix negli ultimi anni.

 

Titolo originale: id.
Creata da: Mark L. Smith
Regia: Peter Berg
Interpreti: Taylor Kitsch, Betty Gilpin, Dane DeHaan, Saura Lightfoot, Derek Hinkey, Joe Tippett, Preston Mota, Shawnee Pourier, Shea Wigham
Distribuzione: Netflix
Durata: 6 episodi tta 36′ e 63′
Origine: USA, 2025

La valutazione della serie di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
4.33 (3 voti)

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