"Amici per la morte", di Andrzej Bartkowiak

Putroppo di fronte a segnali d'allarme come "Amici per la morte", non si è sviluppata un'ipotesi alternativa, un'intensa riflessione su come dovrebbe essere scritto un bel film d'intrattenimento

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Quando manca la disposizione ad innovare l'action movie, che un tempo permeava le produzioni di Joel Silver, gli stimoli alla crescita sono affidati a pratiche di basso profilo. Questa via allo sviluppo incoraggia produzioni con basso valore aggiunto e non è più sostenibile in un mondo globale dove esisteranno cinematografie enormemente più convenienti sul piano della creatività come quella coreana. Le ragioni del declino americano di Jet Li, dopo la parziale rinascita con il pur discutibile  Hero di Zhang Ymou, sono queste: performance acrobatiche che si affidano allo sfruttamento, al sommerso, alla mancanza di una ricerca anche nel kickboxing, senza puntare sulla qualità eccellente. Eppure mai come ora sarebbe necessario porsi il problema della poco felice ibridazione fra la cultura afroamericana e quella cinese, che Bartkowiak persegue fin dai tempi di Romeo deve morire con una cocciutaggine contigua all'ottusità. A volte nella vita si scommette e quella di Amici per la morte è una delle scommesse più azzardate. Scommessa che avrebbe dovuto essere accompagnata perlomeno da un completo sistema di tutele e di ammortizzatori narrativi come quelli di ridurre al minimo le parentesi comiche con Tom Arnold. La verità è che la flessibilità narrativa disegnata può far degenerare le narrazioni finzionali del circolo mediatico. Putroppo di fronte a segnali d'allarme come Amici per la morte, non si è sviluppata un'ipotesi alternativa, un'intensa riflessione su come dovrebbe essere scritto un bel film d'intrattenimento. Probabilmente è anche colpa della mancata alchimia fra DMX e Jet Li, contrariamente alla sinergia che il rapper stabiliva invece con Steven Seagal in Ferite mortali, paradossalmente il miglior film di Bartkowiak. Oppure della scarsa alchimia fra i due malvagi Marc Dacascos e Kelly Hu? Tutte star griffate e impegnate a rubarsi il piano ravvicinato, e non a fare gioco di squadra. Inaudito: il tradimento di un ex-riformatore dell'avventura come Joel Silver è stato quello di spacciare per mega-produzioni dei b-movies laccatissimi, e se questa potrà sembrarvi una digressione, vi accorgerete che il tema è strettamente pertinente a quello che Jerry Bruckheimer ha perseguito da più di dieci anni. Tuttavia, con un pizzico di masochismo, occorre continuare a confidare deflagranti aspettative nel bistrattato cinema di genere americano, anche se ormai a Silver e Bruckheimer le orecchie fischieranno non poco.

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Titolo originale: Cradle 2: The Grave
Regia: Andrzej Bartkowiak
Sceneggiatura: John O'Brien
Fotografia: Daryn Okada
Montaggio: Derek Brechin
Musica: Autori vari
Scenografia: Gary Fettis
Costumi: Ha Nguyen
Interpreti: Jet Li (Su Duncan), DMX (Torry Fait), Kelly Hu (Sona), Mark Dacascos (Ling), Anthony Anderson (Tommy), Tom Arnold (Archie), Gabrielle Union (Daria), Drag-On (Miles), Paolo Seganti (Christophe), Paige Hurd (Vanessa Fait)
Produzione: Joel Silver  per Silver Pictures
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 101'
Origine: Usa, 2003


 


 

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