Amistad, di Steven Spielberg

Uno dei film più politici del cineasta, smette di essere il racconto di una storia di schiavi e di affermazione di libertà, per diventare un film che racconta la Storia. Stasera, ore 21.10, La7

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Nel caso degli Stati Uniti d’America contro gli Africani dell’Amistad, è opinione di questa Corte che il nostro trattato del 1795 con la Spagna, sul quale la Pubblica accusa ha principalmente basato le sue argomentazioni, sia inapplicabile … non ci rimane quindi che un’alternativa, che esse non siano schiavi, pertanto non possono essere considerati mercanzia, ma sono piuttosto individui liberi con precisi diritti legali e morali incluso il diritto di ingaggiare un’insurrezione contro chi vorrebbe negare loro la libertà.
Dai dialoghi del film

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Con Amistad Steven Spielberg ritorna apparentemente sul tema della schiavitù, piaga endemica di un’America di cui l’autore intende evidentemente liberarsi, ma rispetto a Il colore viola, dove il suo interesse è tutto rivolto alla storia delle persone, anzi di una persona, in Amistad le cose stanno in un modo leggermente diverso e il tema assume i toni collettivi.
Il tema resta quello, della macchia umana costituita dalla schiavitù e Spielberg con Amistad firma un film orgogliosamente americano, a volte retoricamente

Amistad, 1997americano, che potrebbe sembrare definitivo – se non fosse stato (indirettamente) completato dall’incerto Lincoln – e comunque in generale un’opera felicemente ispirata da una sincera volontà di ricordare che in America, dopo la lezione dalla Rivoluzione francese, principi e diritti che solo successivamente sarebbero stati universalmente riconosciuti, nonostante tutto, hanno trovato radicamento molto prima che in altre democrazie.
Si, perché Amistad è un film che non racconta solo una storia, vera, con personaggi veri e dolori veri, di schiavi, persone ingiustamente catturate e deportate, ma vuole diventare un piccolo trattato di diritto per approfondire quei principi che sono le fondamenta delle nostre democrazie occidentali, e che diventano requisiti essenziali per trasformare le, tutto sommato, fragili regole della democrazia, tanto da essere messe in continua discussione, in cementata disciplina morale che sia condivisa e non discutibile.
Amistad, Spielberg, 1997La storia del film è complessa e proviamo a farla breve. Sulla Amistad, imbarcazione schiavista spagnola, scoppia una rivolta di prigionieri neri rapiti dai loro Paesi. Un’altra nave americana intercetta la Amistad e fa prigionieri i rivoltosi. La disputa sulla proprietà degli schiavi si intreccia con i trattati internazionali e con le accuse rivolte ai prigionieri. Tutti finiscono in Tribunale e la causa dei prigionieri sarà difesa da Roger Baldwin giovane avvocato che metterà in gioco la propria carriera. I prigionieri avranno la libertà poiché anche un giovane giudice, teoricamente favorevole all’accusa e scorrettamente insediato al posto dell’anziano che aveva trattato l’intero procedimento, riconoscerà che i prigionieri sono stati privati ingiustamente della libertà. Ma la pubblica accusa insiste e porterà il giudizio davanti alla Corte Suprema. Entrerà in scena Quincy Adams anziano politico e avvocato liberal americano, cinico e disilluso, che accetterà di difendere la causa insieme al giovane collega. Il richiamo ai principi fondanti della sua arringa convincerà i giudici dell’Alta Corte e l’America si stava preparando alla guerra civile.
Spielberg è notoriamente considerato giustamente un grande inventore di storie, un Amistad, Spielberggenio dell’intrattenimento e del cinema come unico e grande congegno spettacolare, in questa veste è l’autore che ha riscoperto e ci ha fatto riscoprire il piacere di ritornare bambini anche in età adulta, affascinandoci con storie inverosimili che la sua macchina da presa ha reso vere e reali e soprattutto credibili, almeno nel livello più basso della subliminalità. Con le sue riflessioni sulla impossibilità di diventare grandi (Hook) ci ha obbligato ad una eterna infanzia, almeno quando guardiamo uno di questi suoi film. Ma Spielberg ormai da tempo ci ha abituato ad improvvise sterzate ed è per questo che è uno dei registi per i quali diventa sempre più complicato prevedere la sua prossima mossa tale è stata, ed è tuttora, l’alternanza dei suoi film divisi tra intrattenimento puro e riflessione storico-sociale.
Non vi è dubbio che gran parte della sua produzione, anche quella più apparentemente declinata in commedia, vada ascritta a quel suo personale interesse che guarda con crescente attenzione alla dignità umana e alla necessità di salvezza che esiste solo in quell’umanesimo ormai conclamato nel suo cinema. Film come The terminal, andrebbero forse riguardati proprio sotto questa luce, coinvolgendo in via assolutamente indiretta i temi della storia dei diritti prediletti dal regista dell’Ohio.
AmistadDal già citato Il colore viola a Salvate il soldato Ryan e da Schindler’s list a Il ponte delle spie, compreso Amistad e Lincoln, il discorso di Spielberg si fa complesso e costantemente legato ai temi di un’etica non discutibile, come non discutibile è la salvezza di un uomo per salvare l’intera umanità, secondo un concetto altrettanto fondante della cultura ebraica alla quale il regista appartiene interamente e indissolubilmente.
Amistad punta tutto sull’applicazione del diritto, quello che disciplina i rapporti sulle persone, la legge per dirla in breve. È la sua applicazione, la necessità di regole certe per fondare l’ordine sociale, a diventare il tema centrale del film che sembra farsi dialettico su questi argomenti. Se, infatti, da una parte affronta con durezza la questione dello schiavismo, forma estrema di violazione delle regole di rispetto della vita altrui (come molti anni dopo sarebbe accaduto per il nazismo) tanto da mettere in dubbio le fragili regole di una democrazia appena nata e le cui radici sono tutte da formarsi, dall’altra non ci sono dubbi che solo l’applicazione delle regole primarie che stanno alla radice di ogni convivenza e collettività possono salvare la faccia almeno davanti alla storia. Per questo pensiamo che Amistad sia in un certo qual senso uno dei film più politici di Spielberg, legato ad una sua concezione, certamente basica, ma esplicita del suo mondo artistico e della sua natura di cineasta che si esprime attraverso storie cristallineAmistad_1 nella loro interpretazione e Il ponte delle spie non può costituire esempio migliore.
Ma il tema è critico poiché al cinema i discorsi e i temi che generalmente costituiscono sentimenti condivisi, principi generali di convivenza civile, finiscono per sedimentare una insopportabile retorica. Per la verità neppure Spielberg riesce a scrollarsi di dosso una dose di retorica con il nero buono, saggio e disponibile a quasi discutere di fiori con l’anziano politico/avvocato (ma lui era prigioniero, rischiava la vita, la libertà ecc… come faceva ad essere così pacificato!) e pronto ad essere accolto tra le braccia della religione cattolica così simile la sua storia di innocente con quella del Cristo. Certo detto da un ebreo come Spielberg, la cosa diventa un po’ strana, ma lui è anche un comunicatore e sa bene che in tema di comunicazione nessuno è più geniale della Chiesa cattolica (non a caso Radio Maria si può ascoltare pure in cima all’Everest).
Ma è davanti alla storia che Spielberg si pone con grande rispetto, soprattutto della verità e nel climax finale del film immerge la vicenda nell’orgoglio americano qui senza retorica, affidando a Quincy Adams (si dovrebbe aprire un capitolo apposta per questo personaggio, figlio del secondo presidente degli Stati Uniti) l’esplicitazione del profondo senso del film. L’avvocato che sarebbe diventato il sesto presidente americano, in un’arringa tutta sottotono, senza urli e colpi di scena, tanto densi i concetti da esprimere, sciorina con arguzia le fondamenta della democrazia americana fatta di Amistad, Hopkinsapplicazione di regole universali e non prescindibili. Amistad, comunque la si voglia vedere, smette di essere il racconto di una storia di schiavi e di affermazione di libertà, per diventare un film che racconta la Storia, quella fieramente conquistata dai padri fondatori della nazione. Spielberg trova il passo giusto e le giuste immagini, perché fa parlare i principi della Carta Americana, fa parlare i sentimenti veri di umanità che legano le culture e in un mondo sempre più multiculturale è alla radice che bisogna andare per trovare i comuni denominatori.
Quella è l’America nella quale Spielberg vorrebbe (oggi) riconoscersi e nella quale, invece, crediamo non possa riconoscersi se così forte è stata l’esigenza di girare un film come Amistad e lo stesso accade ai nostri giorni se si pensa quel film, sia pure nelle (perdonabili) imperfezioni di cui soffre, non ci sembra così lontano pur con i suoi 21 anni sulle spalle.

 

Titolo originale: id.
Regia: Steven Spielberg
Intepreti: Anthony Hopkins, Morgan Freeman, Stellan Skarsgård, Matthew McConaughey, Pete Postlethwaite, Nigel Hawthorne
Durata: 152’

Origine: USA, 1997

Genere: storico/drammatico

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