Amore, furti e altri guai – Incontro con Muayad Alayan

Dopo la prentazione nella sezione Panorama della Berlinale 2015 e il passaggio in concorso al MedFilmFestival 2015 esce oggi in sala Amore, furti e altri guai. Ecco le parole del giovane regista

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Dopo la presentazione nella Berlinale 2015 (Panorama) e il passaggio in concorso al MedFilmFestival 2015, esce oggi in sala Amore, furti e altri guai distribuito da Cineclub Internazionale Distribuzione. Interessantissimo esordio per un giovanissimo regista e fotografo palestinese, Muayad Alayan, che questa mattina era a Roma a presentare il suo film ai giornalisti italiani. Tante le domande sui cineasti di riferimento per un film che trasuda cinema e passione cinefila. Si spazia da Jarmusch a Godard: “è vero, sono entrambi registi molto importanti per me. Chiaro che quando frequenti una scuola di cinema vieni a contatto con i maestri che ti hanno preceduto, ne scopri i segreti e li studi a fondo. Per quanto riguarda Jarmusch e Godard direi che sono i registi che mi hanno insegnato la libertà e la speranza. Essere palestinese significa sentire dentro un innato senso di perdita ma nel contempo coltivare una forte speranza per il futuro, nel mio film ci sono entrambe le cose“. La storia raccontata è quella di Mousa, ladro di auto palestinese, che si trova in difficoltà quando ruba la macchina sbagliata:nel bagagliaio trova un soldato israeliano rapito da militanti palestinesi che tentano di far liberare molti loro compagni incarcerati. Mousa tenta nel frattempo di riavvicinarsi alla donna che ama e sogna di emigrare in Italia per tentare la carriera di calciatore…

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Insomma dalla commedia dell’assurdo (il titolo ne fa esplicito rieferimento) alla dura vita quotidiana tra espedienti e povertà, il film è una straniante altalena. Muayad Alayan ha anche presentato una piccola ma significativa selezione di sue fotografie, dove racconta per immagini vari momenti di vita della sua terra. La passione per cinema, quindi, gli ha fatto scoprire una nuova forma di comunicazione: “il mio essere fotografo è nato sui set, mentre pensavo a vari progetti, diciamo che è stato veramente una conseguenza della mia passione per il cinema. Nel mio film faccio anche il direttore della fotografia e avevo bene in mente ciò che volevo ottenere sullo schermo ben prima di arrivare sul set. Ero conscio del basso budget e di non potermi permettere complicati movimenti di macchina, quindi tutto l’impianto visivo è stato pensato già in fase di scrittura“.

Questa è una commedia, certo, ma racconta uno spaccato di vita alla periferia di Gerusalemme e i complessi equilibri politici e sociali che vi albergano, “infatti io ho sempre tentato di dosare la forte componente assurda che permea il mio film con la giusta dose di dramma che la materia imponeva. Si vivono ogni giorno e in ogni angolo di strada questioni molto delicate in quei luoghi. Ecco perchè ogni volta che sul set mi rendevo conto che la scena stava venendo troppo comica la frenavo un po’. Mi bastava far percepire quel senso di humor assurdo, ma non volevo che la gente ridesse di gusto, non era quello il mio intento. Questo delicato equilibrio è stato cercato anche in fase di montaggio, dove ho cercato di bilanciare le due componenti proprio come nei film di Jarmush dove spesso ciò che non si vede sullo schermo è più importante di ciò che è inquadrato“.

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