Angelo Orlando, un cinema da "sfiorare".

Incontro con l'attore/sceneggiatore/regista salernitano che si sofferma su vari aspetti del "fare" cinema oggi in Italia. Un incontro per dare nuovo vigore anche al ruolo del critico cinematografico, che deve sentire il dovere di far vedere il cinema invisibile.

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Angelo Orlando

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Angelo Orlando e Sentieri Selvaggi. Una lunga storia di amicizia e stima reciproca, un “sentire” comune che sfocia spesso in incontri e retrospettive, parole in libertà e riflessioni amare su un cinema che vuol farsi vedere. Perché come dice subito Orlando aprendo il suo intervento: «il cinema “fatto” va visto, va fatto vedere, altrimenti è inutile. E i contenitori della pellicola possono essere usati come tavolini per prendere il caffè la mattina».  E sì, perché la storia dell’amicizia tra Orlando e Sentieri Selvaggi nasce proprio dalla volontà ferrea di non demordere dinanzi alle storture della distribuzione italiana. Di far vedere il cinema fatto e di non tenerlo nei cassetti.  Proprio come è accaduto sino ad oggi al terzo lungometraggio da regista dell’attore salernitano: quello Sfiorasi che ha più volte “sfiorato” una distribuzione ufficiale. Un film forse troppo etereo e candidamente “vero” per entrare nei listini dei sempre più daltonici distributori italiani. Un film che sfiora le persone che lo abitano, mettendone in luce le fragilità compulsive e terminando prima di ogni redenzione. Perché, come dice il regista, «le alte vette si immaginano, si percepiscono, non si raggiungono quasi mai».

 

   E allora come reagire allo scacco dell’artista? Alla privazione forzata del controcampo necessario di ogni opera cinematografica, ossia il pubblico? Orlando su questo dice di aver sviluppato una sua personale filosofia, una sorta di “attesa produttiva” che deve portare l’artista a «nutrirsi d’arte, per munirsi di una cassetta degli attrezzi quanto più ricca possibile. PoiSfiorarsi, film scritto e diretto da Angelo Orlando il momento proprizio arriverà. Arriverà per tutti, ma nel frattempo bisogna prepararsi a ricevere». Fa piacere sentire aliti di ottimismo proprio da chi è stato maltrattato da un meccanismo distorto. Fa piacere sentire proprio da lui che «è ora di smettere di associare il cinema italiano ai soliti piagnistei». Fa piacere perché dà coraggio ad una platea di studenti, che si prepara proprio ad operare attivamente nel mondo depresso del cinema italiano. Sperando appunto di  trovarlo diverso da come tanti protagonisti lo raccontano. Di trovarlo più aperto e ricettivo a nuovi input. E infine fa piacere perché rivitalizza di colpo una figura, quella del critico cinematografico, che non deve sempre operare “a margine” del meccanismo, isolandosi in una torre d'avorio slegata dalle pulsioni vive del cinema. Ma che può e deve intervenire attivamente facendo appunto vedere il cinema invisibile. Proporre cinema è, oggi più che mai, già di per sé fare critica. Perché come dice Orlando «il critico ha un dovere importante, entra dentro l’opera creando una sua opera personale. La fantasia va educata a liberarsi».  

 

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