Anna Piaggi – Una visionaria della moda. Incontro con Alina Marazzi

Incontro con Alina Marazzi a partire dal suo più recente documentario, Anna Piaggi – Una visionaria della moda, anteprima al Biografilm di Bologna.

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Incontriamo Alina Marazzi in occasione del suo recente documentario, Anna Piaggi – Una visionaria della moda, in anteprima al Biografilm di Bologna.

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Come ha deciso di dedicare un documentario ad Anna Piaggi?
È un ritratto postumo. Avevo incontrato Anna Piaggi a Milano, si notava. Con un’amica costumista ho avuto occasione di visitare il magazzino dei suoi abiti e accessori. Mi ha incuriosita lo spirito libero che l’ha portata a dire ciò che pensava in un contesto rigido e severo com’è il mondo della moda. Come negli altri miei film qui c’è una donna che ha mantenuto autonomia, indipendenza e originalità. Eccentrica e controcorrente anche nel privato.

 

Conosceva già il mondo della moda?
No, né posso dire di conoscerlo adesso. Ho tracciato l’evoluzione della moda italiana dagli anni Sessanta ad oggi: atelier, Made in Italy, nuove tecnologie, pret-a-porter. Un passaggio di costume e industriale. Conseguentemente, anche la comunicazione della moda cambia. Su Arianna, Vogue e Vanity, riviste cui Piaggi ha contribuito, si discuteva la visione stessa della moda, ora accessibile a più classi sociali. È lei stessa una vetrina del cambiamento e delle provocazioni, di culto soprattutto all’estero. Le sue doppie pagine su Vogue sono state un appuntamento fisso in cui seminare indizi, tracce, intuizioni.

 

In un’industria che esibisce i corpi sperimentare la corporeità in modo così innovativo significa rischiare.
Il suo modo di apparire non è mai stato semplice “esibizione”. Non le interessava esaltare le forme, aveva un modo tutto suo di esprimere la femminilità. Come dice un intervistato nel documentario, era lei stessa un’opera d’arte. Un laboratorio su cui sperimentare collegamenti con le espressioni artistiche.

1L’utilizzo di più linguaggi visivi è una caratteristica che avete in comune.
Sì, l’uso del collage è presente anche in Anna. Indossava elementi che non erano propriamente abiti (ad esempio anelli con tasti di computer se quel giorno era in atto un discorso sulla tecnologia), aggiungeva elementi di arredamento o di scenografie. Era interessata al teatro d’avanguardia, perciò ho inserito nel documentario un estratto del Balletto triadico di Schlemmer, che lavorò su come il corpo si può espandere. Le avanguardie artistiche erano tra i riferimenti di Anna Piaggi.

 

E lei invece come vive la fase di promozione di un film, quando lo presenta al pubblico o alla stampa che tende ad interpretarlo con categorie già in uso?
I miei film hanno una cifra comune e il pubblico che mi segue sa cosa aspettarsi, perché ogni volta cerco di sperimentare qualcosa di nuovo. Sono film che attraverso la distribuzione nelle sale e in dvd continuano a vivere negli anni. Sono passati più facilmente ai festival dedicati ai documentari, ad eccezione di Tutto parla di te, che contiene un elemento di finzione ma in quanto film di ricerca nei festival ha creato un’aspettativa diversa. Si è dovuto confrontare con film di finzione italiani piuttosto omologati. Non da tutti viene capito proprio perché fugge alle catalogazioni. I miei film incontrano il pubblico in ragione di due elementi che richiedono attenzione: le tematiche e i linguaggi usati.
3Avendo studiato cinema a Londra, quali trova siano le differenze nei risultati di chi sceglie di formarsi in questo settore in Italia rispetto a chi va all’estero?
I percorsi che portano a fare film sono diversi. Il mio non è stato quello di chi vuole fare cinema classico, non lo conosco a menadito, né è nelle mie corde. Mi sono nutrita di cinema sperimentale, documentari e altri linguaggi. Chi sceglie il Centro Sperimentale di Cinematografia forse ha altri obiettivi. Non vedo molta ricerca nel cinema di finzione tra i film italiani oggi. Ne trovo di più nel documentario. Chi finanzia film di finzione ha in mente il cinema classico e tende a non scegliere progetti più sperimentali. Se devo citare un film di finzione che ha un tentativo di ricerca dico Per amor vostro di Gaudino. Inserti di animazione, quadri disegnati da lui stesso etc. Sorprendenti all’interno di quel film, la cui storia forse è classica. Infatti ci ha messo dodici anni! L’intervento dell’animazione colpisce lo spettatore, ma anche il modo in cui è girato, scritto, la sua visionarietà. A volte non è chiaro se ciò che si vede sia ciò che vede la protagonista oppure frutto di immaginazione. È libero, complesso, apre tanti livelli. C’è tanto lavoro dietro, e pochi avrebbero sostenuto finanziariamente un film così, che richiede più tempo. Mi ha colpito molto. Non dico non ci sia ricerca nel cinema di finzione italiano, ma è più rigido. La pressione a conformarsi c’è, e diventa censura interiore.

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