Annie – La felicità è contagiosa, di Will Gluck

La protagonista di Annie abbandona i capelli rossi e diventa una bimba afroamericana. La trovatella abbandona l’epoca rooseveltiana e tenta una maldestra celebrazione della società obamiana

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Annie è il secondo adattamento cinematografico dell’omonimo musical di Charles Strouse e di Thomas Meehan, che tenne il cartellone a Broadway dal 1977 al 1983. Lo spettacolo traeva ispirazione a sua volta dalla comic-strip Little Orphan Annie, che venne creata da Harold Gray nel 1924. Questo tipo di dettagli non è accessorio ma è fondamentale per capire le motivazioni che hanno condotto ad un remake. Le ragioni che emergono non sono particolarmente cinematografiche ma rimandano principalmente a dei parallelismi politici. L’intento del film è dichiarato sin da quando la nuova protagonista afroamericana raccoglie il testimone dalla sua precedente ed iconica antesignana dai capelli rossi. La prima sequenza è una riduzione per bambini della politica del new deal ed esalta la figura di Franklin Delano Roosevelt come quella del primo presidente americano che ha cercato di curare le ferite sociali degli Stati Uniti. Il periodo di maggiore popolarità del fumetto ha coinciso soprattutto con il sostegno delle sue riforme e con il supporto dello sforzo bellico jamie foxx e quvenzhané wallis in anniecome se Little Orphan Annie fosse il corrispettivo sulla carta di Frank Capra. Non è un caso che la precedente versione per il grande schermo di John Huston del 1982 fosse un revival dell’età dell’oro hollywoodiana e usasse l’ambientazione con un intento nostalgico. La protagonista finiva addirittura per cantare Tomorrow con Eleanor Roosevelt e diventava persino una habituee della Casa Bianca. La sceneggiatura adatta la sua storia alla contemporaneità e il cambio di pelle dell’eroina è indicativo di come il film voglia essere un analogo resoconto della società obamiana. I conflitti di classe restano primari ma si fanno molto più attenuati come se il cinismo non fosse una forma deteriore del capitalismo ma dipendesse soltanto da una banale carenza affettiva. Il milionario che prende in simpatia la bambina e ne diventa il mentore è ugualmente afroamericano ed è arrivato alla ricchezza dopo un duro apprendistato nelle strade del Queens. La sua devozione verso il lavoro gli ha impedito di curare il suo lato umano e lo ha incupito fino a quando non ha scelto di intraprendere la carriera politica.

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quvenzhané wallis in annieLa nuova versione di Annie ha già una variazione importante rispetto all’epopea della povertà della sua vecchia gemella: il sistema americano è scalabile attraverso l’impegno e l’inventiva. Questo approccio elastico impone delle modifiche rispetto alla trama originale e anche il personaggio negativo si sdoppia e modifica la sua natura. I connotati dickensiani della malvagia direttrice dell’orfanotrofio diventano quelli disperati della povera alcolizzata Cameron Diaz. Il suo risentimento verso le due giovani ospito inizia dal suo fallimento come pop-star ma si evolve soprattutto per l’assenza di un sentimento ricambiato e anche per lei c’è una possibilità di redenzione. La morale rooseveltiana imponeva la presenza di cattivi senza speranza mentre la visione obamiana sposta tutto il discorso sulla manipolazione delle apprenze. Il vero villain è lo spin doctor che cura la macchina elettorale del magnate delle telecomunicazioni ed è pronto a tutto per aumentare il suo gradimento. Il filantropismo non è più una questione di empatia verso il povero ma è un fattore di immagine e il film prova a giustificare la necessità dell’aggiornamento attraverso una debole condanna dei media e dei social network. La denuncia è davvero blanda e manca il suo scopo così come fallisce il suo proposito morale di dipingere un mondo diviso dal denaro ma in fin dei conti ecumenico. Le canzoni fanno la loro parte ma gli attori non sembrano troppo convinti e nemmeno troppo divertiti dalle insolite convenzioni del musical. La regia di Will Gluck è un mezzo tradimento dei suoi brillanti esordi nella commedia romantica: le suggestioni hughesiane di Easy A e la tentazione del sentimentalismo di Friends with Benefits sono lontane. La spinta a confrontarsi con un genere classico non basta a riabilitare una sfida che non ha avuto l’esito sperato. La produzione ha puntato su Quvenzhane Wallis e sulla sua consacrazione leggera dopo la nomination all’Oscar di Beasts of the Southern Wild ma la simpatia della ragazzina sembra una forma di ruffianeria verso lo spettatore. I nomi di Will Smith e di Jay-Z lasciano sospettare che Annie sia l’ennesimo capitolo di una riscrittura cinematografica della storia afroamericana ma questa volta il buon proposito della comunità non è andato secondo le previsioni.

 

Titolo originale: Annie

Regia: Will Gluck

Interpreti: Quvenzhane Wallis, Jamie Foxx, Rose Byrne, Cameron Diaz, Bobby Cannavale, David Zayas

Distribuzione: Warner Bros.

Durata: 118′

Origine: USA, 2014

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