ANTEPRIME – "Il signore degli anelli" di Peter Jackson

Jackson dirige unendo giochi di macchina e effetti sorprendenti ad un ritmo classico, molto in contro tendenza con il cinema spettacolare vigente, e dotato di una dimensione visivo-pittorica che non si può ignorare

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di Giulia D'Agnolo Vallan

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" Laggiù, in un buco sottoterra, viveva un hobbit". E' il realismo assoluto di un mondo completamente fantastico la scommessa da 300 milioni di dollari di Peter Jackson. Dopo 25 mesi di produzione in New Zeland, il 17 dicembre, a contrastare il dominio del mondo fantastico di “Harry Potter”, arriva in Usa l'attesissimo capitolo 1 delle trilogia di "Il signore degli anelli", “The Fellowship of the Ring” (La compagnia dell'anello). Dopo un tentativo in cartoon del '78 (abortito prima del previsto II capitolo), del bad-boy Ralph Bakshi (“Fritz il pornogatto”), e innumerevoli imitazioni e derivazioni, il megalibro di Tolkien approda sui megaschermi in una versione che, a partire dalla taglia, si ripromette di essere il più fedele possibile all'originale e al suo spirito. Così fedele che una mini major (New Line ereditò il progetto da Miramax nel '97) si è sentita in grado di impegnarsi per tre film. Già girati, insieme a “The Fellowship of the Ring”, i sequel –“The Two Towers” e “The Return of The King” – sono previsti per i natale prossimi. E se lo Studio di “Austin Powers” si gioca il futuro sulla possibilità di rendere hip questa saga popolata di elfi, orchi, nani, hobbit, maghi e mostri vari, che dalla sua pubblicazione, nel '55, ha venduto oltre 100 milioni di copie, il regista della trilogia, Jackson, si gioca la carriera.
Fin dagli esordi in patria, “Bad Taste” ('88) e “Meet the Feebles” ('89), e “Dead Alive” ('92), che lo lanciò ovunque, Jackson ha fatto del fantastico il suo genere. “The Frighteners”, prodotto da Zemeckis nel '96 (ma girato in New Zeland), fu il tentativo di salto a Hollywood (annacquato, e con un implausibile Michael J. Fox, il film fu un flop) dopo di che il regista annunciò l'intenzione di misurarsi con King Kong. Paragonato alla forze sovversiva, alla visualità iperbolica e ai colori pop dei suoi horror (più radicali e ironici dei contemporanei d'Hollywood), l'universo misticheggiante, ecologico, manicheo e privo di humor di Tolkien sembrerebbe una scelta strana per Jackson. "La fantasy cinematografica ha una storia di fallimenti, di operazioni mancate" ha dichiarato Jackson a Entertainment Weekly. "Per ogni genere, western, bellico… si possono citare film meravigliosi. Non è così per la fantasy e questo la rende interessante: ci sono meno cliché. Si può dare al pubblico un'esperienza originale". Certo – forse facendolo rientrare nella sci-fi Jackson "dimentica" Star Wars, la saga fantastica più amata di sempre (e in cui lo scontro tra bene e male, la dimensione epica, la mitologia complessa dei mondi immaginari, sono "alla Tolkien"): in definitiva sarà contro Lucas, e non contro “Harry Potter” (dove il rapporto con il fantastico è mediato dall'immaginazione di un bambino contemporaneo, e sul cui sfondo è riconoscibile una realtà anglo-dickensiana), che si misurerà la vera forza evocativa dei 3 film.Riusciranno Frodo (è Elijah Wood), Gandalf il Grigio (Ian McKellan) e il luciferesco mago Saruman (Christopher Lee) a eguagliare la forza mitopoietica, e di mercato, di Luke Skywalker, di ObiWan Kenobi e di Darth Wader? La posta è altissima e la sfida interessante.
Fin dalle prime sequenze di “The Fellowship of the Ring” – una sanguinosa, notturna e enorme battaglia in cui la voce di Alec Baldwin racconta la storia dell'anello magico prima che venga rinvenuto dall'hobbit Bilbo Baggins – Jackson affronta l'impresa in nome del massimo realismo possibile. A partire dall'integrazione molto riuscita di riprese dal vero con effetti speciali digitali e meccanici, dai make up, dai costumi e dagli accessori, tutti inventati appositamente dal nulla, Jackson punta alla creazione totale di un mondo fantastico senza l'ombra di una fessura, senza uno strappo. E, a suo onore, senza gli ammiccamenti contemporanei (e mirati al pubblico dei teenagers) che "contaminavano" Episode One e la maggior parte del recente cinema di genere Usa. “The Fellowship of the Ring” è un film "serio", nel senso buono della parola, avvisa il regista. E' un salto nel vuoto, infatti, quello che chiede al pubblico, un'adesione incondizionata all'immaginario di Tolkien e al viaggio dell'hobbit Frodo verso la terra di Mordor, dove l'anello magico che potrebbe gettare l'universo in mano alle forze del male deve essere distrutto. Dall'idillio settenanesco di Hobbiton, la verde, benevola, terra degli hobbit (bassottelli, placidi e con orecchiea punta e piedi pelosi), alle eleganti, luminose, archietutture silvane e art nouveau di Rivendell, il paese degli elfi, alle terribili miniere popolate dagli orchi, nessun dettaglio è lasciato al caso. E, con una felice intuizione, Jackson usa i vasti, sorprendenti panorami neozelandesi (persino deserti) per "ancorare" questo suo mondo completamente inventato, dargli aria e peso.
Sentir snocciolare genalogie, idiosincresie, stirpi e codici delle creature inventate da Tolkien, può non essere una delle cose più esaltanti per un non fan della trilogia, il tutto può anche sembrare un po' ammuffito; ma “The Fellowship of the Ring” – che Jackson dirige unendo giochi di macchina e effetti sorprendenti ad un ritmo classico, molto in contro tendenza con il cinema spettacolare vigente, anche quando si tratta di “Il pianeta delle scimmie” di Tim Burton – ha una dimensione visivo-pittorica che non si può ignorare. E' un gesto di cinema originale e di una certa forza. A seconda delle epoche e dei paesi in cui è stato letto “Il signore degli anelli” -con il suo scontro tra le forze della luce e delle tenebre, del bene e del male – ha offerto interpretazioni diverse: di destra, sinistra, mistico religiose, New Age, ecologiche. Vedremo tra dieci giorni cosa ne farà l'America d'oggi.

(da il manifesto del 8/12/2001)

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